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Lettera di M. alla Laboratoria

Per più di 20 anni, l’immagine della terra dallo spazio è stata usata come logo del movimento ambientalista, apparendo su innumerevoli t-shirt, maglie, braccialetti e zaini. Per proteggere questo fragile globo, si organizzano vertici ambientali e si celebra la Giornata della Terra. Siamo tutti giunti alla conclusione che se non cambiamo il nostro comportamento, dobbiamo preoccuparci del futuro del nostro pianeta, come se avessimo a che fare con una specie in pericolo o con uno dei suoi figli che muore di fame in una terra lontana.

Ma smettiamo di lodare la Terra ! Smettiamo di credere che stiamo lottando per essa ! Questo povero pianeta? Siete sicuri ? Sapete che ci sono state almeno 5 estinzioni di massa e a volte meno dell’1% delle specie sono sopravvissute. Affrontando tutti i pericoli, i venti solari, i campi di ghiaccio, le meteore e così via, la Terra è ancora lì, impassibile. Renditi conto che non importa cosa succederà all’umanità, il pianeta rimarrà lì per molto tempo. Continuerà il suo balletto celeste e parteciperà ancora e ancora a questo valzer cosmico, questo bolero astrale che dà ritmo ai cicli del tempo e dello spazio. Come se l’uomo fosse il garante della Vita, come se il destino del nostro caro pianeta fosse nelle nostre mani. Che arroganza!

Meravigliandoci di questo fragile e delicato globo blu, impegnandoci a venire in suo soccorso, assumiamo il ruolo di un genitore protettivo, lontano mille miglia dalla realtà. Questa visione è perniciosa come quella di Bacone. Lui chi Ha percepito la Terra come una macchina al nostro servizio e ha convinto l’Occidente di questo. Questo paradiso della vita non sarebbe altro che un frigorifero gigante, e tutto quello che dovremmo fare è aprire la porta per servirci. Queste sono visioni in cui noi giochiamo il ruolo principale. Quindi so che siamo gli eredi dell’antropocentrismo giudeo-cristiano, ma è ora di tagliare il cordone ombelicale, di prendere il volo e sublimare tutto quel passato. Non invertiamo più i ruoli, sono gli esseri umani ad essere fragili e vulnerabili, e a vivere su un pianeta nutriente che li mantiene in vita.

Quando vedo il saccheggio delle risorse naturali, tutte queste crepe, questi buchi nel cielo e nella pietra, queste fratture, queste schegge, le viscere aperte della Terra, non sono tanto preoccupato per il pianeta. Sono più preoccupato per l’uomo. E sì! Se l’uomo persiste nel separarsi da questa matrice che è il nostro pianeta. Temo che riuscirà a convincerlo di essere un corpo estraneo. E crediamo che voi sappiate cosa succederà in questo caso. L’organismo del pianeta rifiuterà l’innesto umano e alla fine cauterizzerà la ferita pruriginosa. A quel punto sarà troppo tardi per considerare qualcosa. Così, crediamo che la questione non stia tanto nel come proteggere il pianeta, che, se superiamo i suoi limiti, può annientarci, ma piuttosto nella capacità di ogni individuo di rendersi conto di appartenere a un insieme più grande che lo supera.

Cosa possiamo tramandare per il domani ? se non una grande ciotola di umiltà, se non questa saggezza che metterà in discussione la nostra visione del mondo e dell’essere umano.
Questo stato di coscienza è il terreno di coltura di un’intelligenza collettiva che ci guiderà verso l’armonia, e questo terreno di coltura si arricchisce ogni giorno qui a Berta! Cosa possiamo trasmettere per il domani se tutto si ferma oggi? Ci meravigliamo dell’intelligenza artificiale, cerchiamo la vita extraterrestre. Perché tutte queste fantasie quando basta guardare in basso per vedere la vita che brulica, per vedere tecnologie così avanzate che non sappiamo come riprodurle. Abbiamo dovuto aspettare l’arrivo del microscopio elettronico per capire l’idrofobicità che caratterizza le foglie del loto ancestrale. Ma ancora oggi non sappiamo come fare superfici durevoli di questo tipo. Perché cercare soluzioni esterne quando c’è già tutto? Prendiamo coscienza delle colossali capacità che abbiamo intorno a noi. Non crediamo che qualcosa possa essere insegnato o inculcato. Crediamo piuttosto che aprendo il nostro cuore, lasciando trasparire la nostra vulnerabilità e andando oltre le maschere che indossiamo, chi ci osserva potrà capire che è possibile. Oggi vorremmo trasmettere questo barlume di speranza, essere lo specchio di coloro che ci osservano affinché si rendano conto che non ci sono vincoli reali.

Compagne, compagni! Ricordatevi che siamo tutti uno! Smettete di cercare di conquistare la terra e il cielo e lasciate che la terra e il cielo conquistino voi, perché in ognuno di voi, in ogni sasso, in ogni spina di pino, in ogni cipresso, in ogni torrente, in ogni folata di vento, in ogni roseto, in ogni granello di sabbia, in ogni atomo, c’è una vibrazione dell’onda che è vita.

Forza Berta!

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BERTA È TORNATA A VIA DELLA CAFFARELLA 13!

 

CONTRO LE GUERRE CAPITALISTE 1000 LABORATORIE ECOLOGISTE

📌 APPUNTAMENTO h 12 per difendere l’occupazione.

🥪 Pic nic;
🎶 Djset a cura di Dost
🎤 Assemblea pubblica.

La guerra in Ucraina è cominciata due mesi e mezzo fa. Durante questo tempo governi e istituzioni non hanno saputo, né voluto, creare alternative contro l’ennesimo conflitto che sta massacrando l’Est Europa. Tra lacrime di coccodrillo e finte diplomazie, i governi europei stanno investendo miliardi sugli armamenti e stanno correndo a destra e a sinistra alla ricerca di fonti fossili.

Sottraiamo nuovamente all’abbandono via della Caffarella 13 perché vogliamo aprire spazi di conflitto contro l’intero assetto culturale e politico che ancora legittima la dipendenza dal fossile. Riteniamo che la crisi climatica sia ormai inscindibile dalle guerre che aggrediscono senza tregua popoli ed ecosistemi. Una lotta ecologista veramente radicale non può quindi ignorare che la stessa guerra che piega luoghi apparentemente lontani è onnipresente nelle nostre vite, sotto tante forme diverse: come confine di Stato che produce morte, come repressione poliziesca che annienta il dissenso, come carovita, flessibilizzazione del lavoro, devastazione dell’ambiente e privatizzazione dei beni comuni, come ci dimostra il nuovo DDL Concorrenza del governo Draghi. Sappiamo bene che le guerre che devastano e inquinano le terre sono portate avanti e sostenute dalla stessa logica mercificante e liberista che sottrae spazi comuni per renderli spazi di creazione di guadagno economico per pochi. Come succede in via della Caffarella 13, spazio da cui siamo state sgomberate il 24 marzo scorso.

Lo stabile di proprietà della Regione Lazio, che si trova in un parco regionale protetto, è stato abbandonato nel 2011 e successivamente messo all’asta attraverso Invimit, soggetto tecnico del MEF che, in tutto il paese, sta guidando i processi di messa a valore e privatizzazione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici. Non si tratta di un processo neutro: al contrario, è frutto di precise scelte politiche che vogliono aumentare le possibilità del privato di fare profitto sul pubblico e sui servizi. Un processo di questo tipo sta avvenendo in modo sistematico: ad esempio, sul patrimonio immobiliare pubblico del comune Napoli. Immerse in questa logica speculativa, le istituzioni coinvolte nella gestione dell’immobile, sempre pronte a riempirsi la bocca pubblicamente di temi ambientali, non hanno colto l’urgenza della nostra proposta politica e, nell’incontro che con loro abbiamo avuto il 31 marzo, hanno fatto muro contro ogni nostra richiesta.

Della stessa scuola è il Ministro della transizione Cingolani, che si adopera solerte per accaparrare risorse fossili in giro per il mondo e favorisce il ritorno delle centrali a carbone utilizzando i fondi del PNRR. Siamo convintǝ che per contrastare concretamente questi processi sia quanto mai necessario aprire spazi di condivisione comunitaria e di riappropriazione dal basso, attivatori di autogestione. La necessità di spazi come questo è provata dal fatto che, a differenza delle istituzioni, la città ha colto la rilevanza del nostro progetto, partecipando in forze ai 18 giorni dell’occupazione e continuando a seguirci in tutte le mobilitazioni da noi costruite dal 24 marzo ad oggi.

Liberando via della Caffarella 13, abbiamo mosso i primi passi verso un posizionamento dal basso contro la guerra, attraverso assemblee e incontri. Abbiamo costruito pratiche femministe e transfemministe. Analizzato e valorizzato utilizzi non consumistici dell’acqua e del cibo.
Abbiamo aperto spazio all’intreccio delle istanze territoriali che abitano Roma, consapevoli che la guerra sui nostri corpi passa attraverso la centrale al carbone a Civitavecchia, la gestione mafiosa dei rifiuti ai Castelli Romani, il nuovo termovalorizzatore voluto da Gualtieri, la gestione criminale che Acea fa dell’acquedotto romano. Abbiamo utilizzato lo strumento dell’alimentazione vegana come rifiuto del sistema devastante degli allevamenti intensivi.
Abbiamo difeso lo spazio senza tuttavia chiudercisi dentro. L’abbiamo reso il più permeabile possibile e, allo stesso tempo, ne abbiamo avuto cura. Berta voleva essere tutto questo il 6 marzo scorso e vuole essere questo anche oggi.

Torniamo dentro via della Caffarella 13 perché la rivoluzione ecologista non si sgombera, perché le nostre ragioni sono valide oggi come due mesi fa, e perché non ci faremo impaurire davanti alla repressione che abbiamo subito. Perché Berta Vive, e continua ad ispirarci nella lotta.

L.E.A. Berta Cáceres

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Primo maggio 2022 – Hanno provato a seppellirci, ma non sapevano che eravamo semi

 

Il nostro intervento integrale dal palco del Forte Prenestino il primo maggio:

 

Ciao a tuttu dalla Laboratoria Ecologista Autogestita Berta Cáceres. Una laboratoria nata il 6 marzo di quest’anno alla Caffarella per convogliare verso di sé le lotte ecologiste e transfemministe, della città e transnazionali.

Ci siamo ispirat a Berta Cáceres, un’attivista honduregna per i diritti dei popoli indigeni. Una donna, femminista, una donna del popolo Lenca che combatteva contro una grande opera che avrebbe distrutto il territorio sacro per i Lenca.

È stata uccisa nel 2016 dai sicari mandati dall’azienda che voleva costruire l’opera e dallo stesso governo honduregno, perché provava a opporsi alla logica estrattivista del capitalismo per la quale l’ambiente e le persone solo risorse da consumare. La stessa logica che causa guerre, sfruttamento e devastazione di territori e corpi. Berta non è morta, si è moltiplicata.

Si è moltiplicata in tante forme, anche nell’azione di un collettivo che dall’altra parte del mondo si oppone alle stesse logiche del capitalismo, insostenibili, a cui si opponeva lei.

Il collettivo ha liberato uno spazio pubblico con l’intenzione di evitarne la vendita all’asta e la messa a profitto. Lo spazio è stato aperto alla collettività, dopo essere stato chiuso per più di 10 anni. Uno spazio in un parco, il parco della Caffarella, strappato anch’esso con fatica alla speculazione edilizia, anche grazie alla determinazione delle comunità che attorno a quel parco vivevano e vivono e che continuano a prendersene cura.

Abbiamo abitato quel posto per praticare quotidianamente una socialità diversa, la sovversione dei generi e dei consumi, uno stare insieme basato sul benessere di tante persone e non sul profitto di poche.

Per 20 giorni siamo stat attraversat da centinaia di persone, che hanno immaginato cosa poteva diventare la laboratoria, partecipando ad assemblee, autoformazioni, presentazioni, cineforum, incontri di convergenza con molte realtà che portano avanti lotte affini. Come quelle per il diritto all’abitare, i gruppi ambientalisti, i comitati territoriali del Lazio e di fuori regione che combattono contro l’inquinamento, per la salute delle persone e del territorio, chi porta avanti le battaglie per la riduzione dei rifiuti, per una mobilità sostenibile, collettivi transfemministi e antispecisti. E le tante realtà degli spazi liberati di Roma e non solo.

Nonostante questo, uno sgombero portato avanti con tempistiche e modalità infami, è arrivato il 24 marzo. Proprio il giorno dopo la notizia che Andrea Dorno, compagno di molt di noi, ci aveva lasciat.

Ma abbiamo subito rilanciato la nostra mobilitazione, con il corteo ecologista per il Global Strike il giorno dopo. E il giorno dopo ancora abbiamo marciato al fianco di lavorator GKN a Firenze.

Per dire, insieme a loro, che la salute, l’ambiente e il lavoro non sono alternative l’una all’altra.

E per dire che rifiutiamo il ricatto neoliberista che obbliga alla scelta tra un posto di lavoro e la sopravvivenza economica da una parte, e dall’altra la tutela della salute di corpi e territori.

Vogliamo uscire dall’unica via del lavoro al servizio del capitale.

La convergenza delle lotte ecologiste e per il lavoro, denuncia l’infondatezza di questo assioma. Siano esse in fabbrica, ufficio, strada, casa, smart working, università, città, campagna, in disoccupazione o non lavoro (volontario e non).

Se lo scopo è la cura e la rigenerazione, lavoro può voler dire risanamento ambientale, bonifica, sostegno di persone, animali e territori (sanità, supporto psicologico, mediazione, re-integrazione, assistenza sociale, accudimento di persone e animali, cura di aree protette, manutenzione, riparazione…)

Vogliamo vedere un futuro in cui, non una transizione, ma una rivoluzione ecologica, fatta di scelte condivise dal basso, reimpieghi lavorator in nuove mansioni. Ma pretendiamo che questo passaggio ci veda protagonist, perché le conseguenze delle decisioni ricadono su tutt noi.

Come ricadono su di noi le scelte scellerate legate alla guerra in Ucraina. Oltre al rincaro dei prezzi, che ancora una volta mette in difficolltà chi è già in difficoltà, si vede un ritorno a fonti inquinanti, come il carbone. Come unica soluzione all’incapacità di approvvigionamento di risorse energetiche da regimi che non siano totalitari. La soluzione, per il governo, e per il ministro Cingolani, è prendere il gas in Congo e Algeria, ripetendo sempre gli stessi errori. Per non parlare degli affari di Eni in Egitto, il cui prezzo da pagare è il silenzio su casi come quello di Giulio Regeni, di Patrik Zaki, ma anche di Rasha Azab.

Non vogliamo che tempi e modi della riconversione ecologica siano imposti da chi finora ha lucrato provocando i danni che adesso fa solo finta di voler risolvere. Con definizioni fuorvianti, come su gas e nucleare, diventate improvvisamente fonti sostenibili. Con false prospettive di miglioramento dei servizi che nascondono solo altre privatizzazioni a unico beneficio del profitto privato.

Inclusa in questo quadro è la sanità. Negli ultimi anni più che mai abbiamo visto come la salute sia una questione di classe. Il prezzo più alto della pandemia è stato pagato da soggettività femminilizzate, subalterne, già emarginate e in difficoltà. Sappiamo quanto l’elemento ecosistemico sia stato determinante nella nascita e nella diffusione del virus.

Alla sindemia, ormai dato endemico, si risponde a suon di stati di emergenza, buoni da usare in ogni occasione. Per motivi sanitari, per la guerra e addirittura per la gestione del ciclo dei rifiuti.

La crescita infinita e indiscriminata della nostra società non è né possibile, né auspicabile. Rifiutiamo di essere consumator inconsapevoli al servizio del sistema capitalistico che produce solo soldi, merci, frustrazione e rifiuti. Riconosciamo i falsi bisogni indotti da un ingranaggio che genera insoddisfazione per ottenere guadagno.

Rifiutiamo il soddisfacimento cieco di bisogni materiali quando questo avviene sulle spalle di altre soggettività, sfruttando la forza lavoro secondo logiche disumane, e dell’ambiente, secondo un modello estrattivista che distrugge popolazioni e territori. Un modello che guadagna dallo sfruttamento disumano del lavoro migrante, di soggettività razzializzate o in posizione di subalternità e necessità.

Boicottiamo prodotti e sistemi che riteniamo dannosi e rivendichiamo il potere di un uso e consumo essenziale e consapevole, che scelga di sostenere modalità produttive e riproduttive veramente sostenibili. Sapendo che l’orizzonte non è individuale, ma è all’interno di un ecosistema complesso, ed è alla luce di questo che vanno re-inventate le risposte.

Un lavoro non precario e con ritmi più umani equivale a tempo per soddisfare i bisogni, personali e collettivi, oltre il mero sostentamento economico. Vediamo la possibilità di un mondo in cui ognun abbia il necessario, possa esprimere la propria individualità e condividerla con altr. un reddito garantito per tutt può essere un modo per venire incontro a questi bisogni.

E ribadiamo anche il nostro diritto a non lavorare. A non vivere per lavorare. A non lavorare per vivere, o per sopravvivere.

 

Buona festa del non lavoro

Buoni 36 anni di occupazione

Per ogni sgombero, 10 100 1000 occupazioni!

Berta dall’Honduras, ce l’ha insegnato. Difendere la terra non è reato!

 

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Verso il primo maggio

Crisi energetica, la Russia invade l’Ucraina, i governi europei e le organizzazioni internazionali mostrano la loro inefficienza: due mesi di escalation nei toni diplomatici e soprattutto della violenza sul campo, e i morti. Le cause geopolitiche di questa escalation di scala globale sono complesse e le potenze occidentali ne sono corresponsabili. Se da una parte la politica di Putin degli ultimi decenni non è certo stata attenta al rispetto dell’ambiente, né dei più basilari diritti umani, d’altra parte le politiche espansionistiche della NATO e il modello di sviluppo capitalista è ciò che provoca quegli squilibri che hanno portato al conflitto: l’Ucraina fa gola per le risorse energetiche necessarie all’Occidente affinché noi, cittadini di prima classe, possiamo mantenere gli attuali livelli di vita e di “progresso”.
Il primo maggio 2022 affermiamo con forza la necessità della convergenza tra movimento də lavoratorə e movimento ecologista e ci impegnamo a sostenerla. In Italia come nel resto del mondo a pagare il costo del conflitto per le risorse non sono le persone più abbienti, ma quelle che a fatica riescono a vivere del loro lavoro e che sono già afflitte dal carovita: l’aumento dei prezzi dei beni primari, delle bollette, dei servizi, dei carburanti. Questo conflitto prevedibile e atteso aggrava il contesto del lavoro italiano già avvelenato dal precariato, dalla disoccupazione, dai salari ridicoli, dai processi di delocalizzazione, dal mancato riconoscimento del lavoro di cura, dall’infame litanìa televisiva in cui si agita lo spauracchio della scelta tra il lavoro e la salute, dall’erosione di ogni forma di tutela sociale. Aumenta il ricatto occupazionale, peggiorano le condizioni di lavoro, lavoratrici e lavoratori sono  espostə a continui piani di licenziamento. In Europa già si vedono gli effetti  dell’inflazione che porta milioni di persone sull’orlo di un’ulteriore crisi e alla preoccupazione concreta di non arrivare alla fine del mese.
Questa guerra guerreggiata sta rivelando la vera faccia della “transizione ecologica”: il ministro Cingolani corre ai ripari riportando nel mix di energia il carbone e mettendo in stand-by i progetti di riconversione energetica verso le rinnovabili. Un esempio tra tanti il rapido ripristino delle centrali a carbone di Civitavecchia, dove un intero territorio già devastato dai decenni precedenti si ritrova di nuovo esposto a alti livelli di nocività ambientale e per la salute umana. Cingolani di fronte al rischio concreto di perdere le forniture di gas russo, non ha esitato a stringere nuovi accordi con Congo ed Algeria. Non ci stupisce constatare che le promesse di degassificazione erano parole al vento e che l’interesse coloniale del nostro paese non sia mai morto.
Per il primo maggio 2022 riteniamo cruciale una convergenza tra movimento də lavoratorə e movimenti ecologisti basata sul riconoscimento del valore rivoluzionario del lavoro riproduttivo e di cura alla pari di quello produttivo. Una convergenza che vede come unica possibile transizione ecologica quella agita dal basso e dalle persone, non quella imposta dal governo e dalle lobby finanziarie che speculano sul capitale e sul profitto. Non pagheremo il costo di questa guerra, né dei prossimi conflitti energetici. Piuttosto imposteremo le nostre lotte sull’autosostentamento, sull’autodeterminazione e sull’indipendenza dai combustibili fossili, esigendo che siano praticate tutte le alternative disponibili che sostengano le categorie più vulnerabili invece di costringerle a pagare le pesanti conseguenze di scelte irresponsabili.
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Rifiuti, Problema Capitale!

Cambiano le amministrazioni comunali, ma il problema dei rifiuti continua ad essere gestito in modo inaccettabile in questa città.
La raccolta differenziata è limitata, e non incentivata poiché si continua a concepire il rifiuto come fonte energetica e di profitto. Si facilitano gli interessi di gruppi di potere economico e finanziario e ci si allontana dalla riduzione della produzione di rifiuti.
Qualunque progetto che permetta di risolvere la drammatica e ciclica crisi della Capitale sui rifiuti non può che basarsi su una serie di punti:
1) L’estensione del porta a porta, unico strumento per aumentare quantità e qualità della raccolta differenziata.
2) Il decentramento della gestione dei rifiuti nei municipi, con la realizzazione di impianti di dimensioni medio/piccole (esempio: biocelle), e piccolissimi da dislocare nei quartieri, per “avvicinare” la popolazione e massimizzare il recupero dell’organico.
3) Il raggiungimento entro il 2023 (o prima) dell’obiettivo di raccolta differenziata del 100% della frazione umida, condizione indispensabile per il recupero di materia a valle della raccolta e per diminuire il ricorso all’incenerimento e alla discarica.
4) L’abbandono di tecnologie come l’incenerimento o la pirolisi per la produzione di energia dai rifiuti e del trattamento anaerobico per la produzione di gas combustibile (biogas), a favore del trattamento del materiale umido differenziato attraverso impianti di compostaggio aerobico.
5) Abbandono del “modello TMB” (Trattamento Meccanico Biologico), poiché sono impianti progettati e ottimizzati per produrre materiale da conferire in discarica o da bruciare in inceneritori o altri processi industriali (cementifici). Servono invece impianti moderni ottimizzati per il recupero di materia.
Alla luce di tutto questo convochiamo per sabato 9 aprile alle 10.00 una manifestazione davanti al TMB di Rocca Cencia, un impianto che è la rappresentazione concreta di quello che non vogliamo, per protestare contro la scelta del sindaco Gualtieri di allargare l’impianto e usare i fondi del PNRR per costruirne uno per il trattamento della plastica e carta.
Crediamo sia necessario costruire una rete larga e capace di far fronte alle sfide della crisi ecologica in corso e di esercitare pressione verso le istituzioni per un drastico cambio di rotta.
Per costruirla insieme contatta @ReteEcoSistemica su Facebook: https://www.facebook.com/ReteEcoSistemica
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AL TAVOLO DOPO LO SGOMBERO DELLA L.E.A. BERTA CÁCERES LA REGIONE SI SCHIERA DALLA PARTE DEL PROFITTO

Giovedì 24 marzo, dopo 18 giorni di attività, è stato sgomberato lo stabile in via della Caffarella 13, occupato dalla Laboratoria Ecologista Autogestita Berta Cáceres.
Solo la mattina prima era stato convocato dalla Regione Lazio il tavolo richiesto fin dall’inizio dal collettivo di occupanti, proprio per discutere del futuro di quello spazio abbandonato e del progetto che nel frattempo vi aveva preso vita.
La politica si è fatta di buon grado scavalcare dalla forza poliziesca, o, peggio, ne è stata complice. Queste le richieste sul tavolo da parte dellə attivistə:
1. L’immediato dissequestro dell’immobile in Via della Caffarella 13.
2. L’avvio del percorso burocratico che possa fermare la messa all’asta dell’immobile e il suo ritorno tra il patrimonio inalienabile della Regione.
3. Il riconoscimento del valore politico, sociale ed ecologico della L.E.A. Berta Cáceres.
Come dimostrato dal testo della denuncia consegnata allə occupantə il giorno dello sgombero, è proprio la Regione Lazio a figurare come proprietaria dell’immobile.
Nella stessa denuncia viene definito come “bene immobile pubblico”, mentre l’annuncio della sua vendita come villino di pregio può essere trovato sul sito immobiliare.it, come una qualsiasi proprietà privata.
La Regione non ha smentito in alcun modo il suo ruolo diretto nello sgombero e si è detta indisponibile a rivedere la procedura di messa all’asta del bene e a chiarire, nonostante le ripetute sollecitazioni, il contratto che regola i rapporti tra Regione Lazio, il Fondo i3 Regione Lazio e INVIMIT che ne è il gestore.
Sebbene al tavolo fossero presenti assessorə all’ambiente e al patrimonio e Capo di Gabinetto di Comune e Regione, il direttore regionale bilancio demanio e patrimonio, e l’assessore alla scuola del Municipio VIII, nessunə ha voluto rispondere in merito alla non meglio chiarita commistione tra pubblico e privato e alle scelte politiche che da essa derivano.
Quest’ultima permette che stabili come quello di Via della Caffarella 13 siano svenduti alla speculazione e al profitto del mattone, beni che invece sono patrimonio pubblico e quindi un bene comune.
Questo sgombero è solo un esempio di come la transizione ecologica di cui sono piene le campagne elettorali di queste istituzioni sia perfettamente compatibile con il principio del profitto privato, che regola i sistemi di accumulazione insostenibili alla base dello stesso disastro ecologico.
Smascherare questa mistificazione e indicare i responsabili, nei fatti, di tale inaccettabile politica di transizione, continuerà a essere uno dei nostri obiettivi.
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Presidio alla Regione Lazio – Giovedì 31 marzo 2022 ore 11 – La Rivoluzione Ecologista non si sgombera!

La Laboratoria ecologista autogestita Berta Cáceres è un progetto che non si ferma davanti ad uno sgombero.

I temi e le lotte che si sono intrecciati per 17 giorni nello spazio liberato in Caffarella sono più urgenti che mai e hanno continuato a vivere nelle mobilitazioni e nelle iniziative che hanno scandito ogni giornata da quello sgombero.

È questa la ricchezza che porteremo al tavolo convocato il 31 marzo dalla Regione Lazio, dentro il palazzo, ma soprattutto fuori, dove intendiamo costruire un presidio colorato, rumoroso e pieno di contenuti.

Per questo invitiamo ad una partecipazione che non sia solo di solidarietà, ma di intreccio e di rilancio tra le vertenze ambientali della regione, gli spazi sociali, i comitati territoriali, le persone che a centinaia hanno attraversato la L.E.A. Berta Cáceres, o avrebbero voluto farlo, e non ne hanno avuto il tempo.

Sì, perchè lo sgombero c’è stato e proprio poche ore dopo la convocazione ufficiale del tavolo. Ed è con questa consapovolezza e con la giusta rabbia che incontreremo le istituzioni giovedì, complici del nulla che avanza in quello spazio, e in tanti altri della nostra città.

Invitiamo tuttə a farlo con noi, alle ore 11.00, sotto la sede della Giunta Regionale del Lazio in via Rosa Raimondi Garibaldi.

Berta vive!

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Berta vive, la rivoluzione ecologista non si sgombera!

Il 24 marzo, con una grossa operazione militare, si è cercato di cancellare l’esperienza della Laboratoria Ecologista Autogestita Berta Cáceres. Hanno sgomberato uno spazio che, dopo 10 anni di abbandono da parte della Regione Lazio, è tornato a vivere grazie all occupant e alle centinaia di persone che lo hanno animato in più di due settimane di intense attività.
Berta, però, non ha intenzione di fermarsi: nel mezzo di una guerra e di una gravissima crisi climatica e sociale, le idee e le lotte alla base di questo progetto sono più che mai urgenti e necessarie.
Per questo saremo in piazza il 25 marzo per il global strike e sabato 26 a Firenze con GKN, con uno spezzone ricco di energia e di contenuti, come condiviso nell’ultima partecipata assemblea svolta presso la L.E.A. Berta Cáceres, poche ore prima dello sgombero.
Continueremo a incalzare la Regione Lazio e tutte le istituzioni, complici di quanto accaduto questa mattina in via della Caffarella e di aver spianato la strada alla speculazione privata in un Parco Regionale.
Proprio da qui la Laboratoria intende continuare: invitiamo tutt a partecipare ad un pic-nic sociale venerdì 25 marzo, in cui elaborare insieme i prossimi passi. Ci vediamo quindi dopo il corteo di Fridays for Future, dalle ore 13.00 all’ingresso del Parco della Caffarella di Largo Tacchi Venturi (Metro Colli Albani).
Berta vive, la rivoluzione ecologista non si sgombera!
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22 marzo 2022 – Giornata mondiale dell’acqua: i profitti privati ci lasciano a secco!

 

 

Per la giornata mondiale dell’acqua, come attivist@ ecologist@ e per la giustizia sociale, vogliamo dare la nostra lettura di una giornata che ci parla di lotte, di scelte politiche sbagliate, e ancora di lotte.

L’acqua è una risorsa sempre più scarsa, a causa dei cambiamenti climatici e di un consumo umano in continua crescita. Ma a poco serve invocare la siccità e la scarsità idrica come eventi avulsi dalle scelte gestionali e politiche, come puntualmente fanno governi e gestori durante questa ricorrenza.

Le responsabilità sono chiare:

La mancanza di volontà e capacità nell’attuare politiche efficaci di contrasto ai cambiamenti climatici.

L’ottusità di voler lasciare un bene comune come l’acqua nelle mani dei gestori privati, nonostante un referendum plebiscitario.

La sfacciataggine di quotare l’acqua in borsa, come una qualsiasi merce, scommettendo proprio sulla siccità e sulla sete dei territori più esposti a questo fenomeno.

L’azzardo, da parte del Governo Draghi, di spingere ulteriormente alla privatizzazione attraverso il DDL Concorrenza, sperando di cancellare una vittoria culturale e politica che in Italia ha segnato uno spartiacque, che all’Ex Presidente della BCE non è mai andata giù.

La tragica guerra in corso in Ucraina ci ricorda, ancora una volta, come il mercato sia il terreno perfetto per speculare sui beni primari, proprio quando questi scarseggiano. Per questo l’acqua deve uscire definitivamente da logiche di mercato, a partire dalla nostra città, in cui Acea fa profitti milionari, mettendo a rischio interi ecosistemi perché gli azionisti preferiscono investimenti come il potabilizzatore del Tevere invece che la riparazione delle perdite idriche e la conservazione della risorsa per le generazioni future.

Il deserto ricostruito domenica davanti al Ministero della “transizione” ecologica rappresenta un futuro che siamo determinat@ a scongiurare: non vogliamo che i profitti privati ci lascino a secco!

Per far sì che la giornata mondiale dell’acqua non sia una ricorrenza vuota, in questa settimana, più che mai, mobilitiamoci contro vecchie e nuove privatizzazioni, per dire NO al DDL Concorrenza!

E poiché le lotte per l’acqua bene comune continuano in tutto il mondo e la nostra lotta è sorella di altre lotte a difesa dei territori, ne racconteremo alcune presso la Laboratoria Berta Cáceres domenica 27 marzo alle 15.

#AcquaPubblica #NoDDLConcorrenza #AcquaBeneComune

 

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La prima settimana della Laboratoria Ecologista Autogestita Berta Cáceres

La Laboratoria Ecologista Autogestita Berta Cáceres sta per compiere la sua prima settimana di vita. Una settimana intensa, durante la quale il nuovo spazio liberato è stato pulito, abbellito, attraversato da centinaia di persone che hanno preso parte a decine di iniziative. Il tutto intorno ai temi della giustizia sociale e ambientale, che oggi si intrecciano anche con una guerra in corso, sui quali ci si confronta e che si cercano di mettere in pratica, anche nella precarietà di una nuova occupazione.

La L.E.A. Berta Cáceres è infatti ancora precario, con minacce di sgombero, fomentate da alcuni giornali, che vengono richieste da alcune forze politiche. Evidentemente c’è chi pensa sia meglio lasciare uno spazio del genere all’abbandono come avvenuto in questi 10 anni.

La pensano diversamente le decine di realtà che hanno aderito all’appello lanciato dalla Laboratoria, per chiedere l’immediata apertura di un tavolo istituzionale con Regione, Municipio e Comune, nel quale discutere il futuro di questo luogo e del progetto “Berta Cáceres”.

Una richiesta che ha già incassato due risposte positive. Il Capo di Gabinetto del Sindaco di Roma ha risposto via mail, dando la propria disponibilità a partecipare al tavolo, e il Presidente del Municipio VIII, Amedeo Ciaccheri, ha incontrato oggi una delegazione della nuova occupazione, per esprimere la stessa disponibilità, auspicando che il tavolo venga convocato presto.

Ci sembrano segnali incoraggianti, che confermano come questa occupazione abbia colto nel segno, nel denunciare l’abbandono di uno spazio come tanti altri nella città di Roma, e rivendicando la necessità di un luogo in cui affrontare i temi urgenti del nostro tempo, a partire dalla crisi ecologica in corso.

Ora tocca alla terza istituzione esprimersi, la  regione Lazio. Nei primi giorni dell’occupazione è stato a più volte detto che l’edificio in via caffarella 13 fosse stato ceduto dalla regione alla società di gestione immobiliaria invimit, di proprietà del MEF.

Abbiamo finalmente chiarito che non è così, più semplicemente è stato passato ad un fondo immobiliare di proprietà al 70% della regione stessa, al 30% da un fondo di fondi controllato da invimit, società di gestione del mef. Un motivo in più per chiedere di interrompere la messa all’asta e tutelare lo spazio.

Aspettiamo con urgenza che venga convocato pertanto il tavolo dall’ente regionale.

Nel frattempo ribadiamo il nostro intento a proseguire con le attività, con la programmazione che ha già portato tante persone a frequentare la laboratoria.

La lotta ecologista continua!