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RYDER CUP – IL VOSTRO LUSSO CI LASCIA A SECCO

Questa mattina un grande dispiegamento di forze dell’ordine è stato messo a disposizione della Ryder Cup, un evento privato largamente finanziato con fondi pubblici: 60 milioni di euro regalati al tempo dal governo Renzi e ulteriori 97 milioni di euro in fidejussione, finalizzati per il rifacimento di un campo da golf nei terreni di una villa di proprietá privata.

Otre 500 uomini al giorno, tra polizia di Stato, Arma dei carabinieri, finanza, vigili del fuoco e polizia municipale sono stati messi a disposizione di un evento che è l’ennesimo sfregio alla salute dei territori e di chi li abita. 

Nonostante questo oggi abbiamo tentato di contestare la Ryder Cup, ma siamo stat3 immediatamente fermat3 all’uscita della metro, senza alcuna spiegazione, e tradott3 in commissariato. Di seguito riportiamo le motivazioni della contestazione.

IL VOSTRO LUSSO CI LASCIA A SECCO

Da mesi Roma si prepara, suo malgrado, ad ospitare la Ryder Cup, esempio concreto dell’abuso di risorse da parte delle elitè di questo paese che è causa primaria della devastante crisi ecologica che stiamo attraversando.

A sfregio della crisi idrica che attanaglia il Lazio e costringe molti territori circostanti Roma a vedersi tagliare l’acqua, un campo da golf come questo consuma in media 2000 metri cubi di acqua al giorno: si tratta del consumo medio di un paese di 8000 abitanti, una quantità che è sufficiente alla produzione di 2 tonnellate di grano.  Non solo: i pesticidi utilizzati per rendere soffice e libera da insetti l’erba su cui i ricchi campioni di golf camminano sono un grave fattore di inquinamento di falda con conseguenze devastanti sul territorio. I campi da golf sono verdi brillanti, ma sono talmente chimici e privi di ecosistemi che sarebbe più corretto definirli come dei giganteschi parcheggi. I campi da golf sottraggono terreni potenzialmente agricoli o forestali e possono interrompere naturali vie idrologiche, con rischi di inondazione e portano alla bonifica forzata di aree umide che bisognerebbe al contrario proteggere.

In Italia oggi ci sono 303 campi da golf come questo per un totale di circa 300.000 ettari di terra sottratti alla collettività e resi parchi divertimenti al servizio del tempo libero dei ricchi.

La Coppa Ryder vuole celebrare uno scempio di territorio e di risorse, e lo fa drenando ingenti finanziamenti pubblici: 60 milioni di euro regalati al tempo dal governo Renzi e ulteriori 97 milioni di euro in fidejussione, finalizzati per il rifacimento di un campo da golf nei terreni di una villa di proprietá privata. E’ ridicolo che ci dobbiamo vedere tolto il reddito di cittadinanza e crollare il sistema sanitario a causa dei tagli mentre soldi pubblici vengono generosamente erogati per il divertimento delle elite. Nel frattempo titoli di giornale gridano come la Ryder Cup faccia miracoli perché si conclude il cantiere infinito della Tiburtina: ennesima presa in giro dell’amministrazione comunale, che non si cura minimamente dell3 abitanti che vivono e lavorano in zona, ma si mobilita subito non appena si presentano situazioni ghiotte di guadagno per i privati come è la Ryder Cup. Inoltre, tutta la zona è paralizzata: per giungere qui sono state rifatte strade, bloccate metro, modificate infrastrutture di ogni genere. In una cittá dove la mobilitá é un problema strutturale, la spesa pubblica viene deviata a beneficiare interessi privati: con un budget complessivo di 157 milioni di euro, quella che sta svolgendosi è la piú costosa edizione nella storia della coppa. 

Le stime prospettano per la Ryder Cup un introito di mezzo miliardo di euro, eppure la manifestazione ancora una volta abusa di manodopera gratuita. 1200 “volontari con obbligatoria conoscenza dell’inglese” stanno adoperandosi in mansioni di ogni tipo “per un minimo di 6 ore al giorno” al fine di ridurre i costi e aumentare gli esorbitanti profitti della Famiglia Biagiotti, proprietaria del golf club.  La stessa sostiene poi, sui media, di essere una azienda che ha a cuore la sostenibilitá e che supporta il restauro di antichitá romane.

Questo scempio sociale economico e ecologico avviene con il pieno avvallo della classe politica locale e nazionale che ha sostenuto durante gli ultimi cinque anni la costruzione di questa manifestazione a prescindere da chi fosse al governo. 

Siamo qui perché la gestione del bene idrico diventa una linea di demarcazione attraverso la quale si accentuano la disparità di classe e l’ingiustizia sociale. Disporre di acqua in quantità e qualità maggiori diviene obiettivo primario della classe dominante, mentre le ripercussioni sociali, sanitarie e umane sono sempre più gravi per chi invece di quel bene non può disporre in quantitativi minimi vitali.

La messa a profitto e l’estrazione incontrollata dell’acqua si concretizzano nel suo utilizzo in grandi quantità per alimentare grandi opere inutili e dannose -dal TAV agli inceneritori- e nel suo spreco per il lusso di campi da golf come questo. Difendere l’acqua come bene comune da ridistribuire e lottare per una sua gestione comunitaria ed ecologica diventa pertanto oggi più che mai una forma di lotta anticapitalista ed ecologista al tempo stesso.

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Da Sud a Nord – Voci per la giustizia climatica

Incontro con compagnx da Honduras, Messico, Usa
Moderano L.E.A. Berta Cáceres, Osservatorio Repressione

Durante la primavera del 2023, in Messico una carovana di circa 200 persone in resistenza e lotta ha attraversato i 7 stati del Sud/SudEst del paese, interessati dai due megaprogetti di devastazione del governo Obrador: il Corredor Interoceánico, progetto di sviluppo di una grande piattaforma logistica di collegamento tra oceano Atlantico e oceano Pacifico, e il Tren (mal chiamato) Maya, linea ferroviaria per collegare Chiapas, Tabasco, Campeche, Yucatán y Quintana Roo a scopo di trasporto merci e, in parte minore, passeggerx (turistx).

FuturosIndigenas riunisce rappresentanti di piú di 20 popoli indigeni del Centro america (Milpamerica) che si organizzano per far fronte all’emergenza climatica, “per riforestare le menti, per indigenizzare i cuori”, attraverso la comunicazione e la creazione di narrative in difesa della vita. Nella consapevolezza di come la catastrofe climatica attuale sia il sintomo di una malattia che è la colonizzazione, che prende la forma di un progresso distruttivo per le comunitá, FuturosIndigenas si mobilita per difendere i territori, i diversi modi di essere ed esistere nel mondo e per difendere la vita.

In Honduras, è sorto un collettivo comunitario e di quartiere che afroindigene, diverse, dissidenti sessuali, antirazziste e contro ogni forma di violenza che si organizzano per resistere insieme alle continue minacce ed oppressioni.

Ad Atlanta, mentre la popolazione protesta a gran voce contro le interminabili violenze della polizia, si progetta di trasformare 300 acri di foresta nel più grande centro di addestramento per le forze dell’ordine. Allora la popolazione si mobilita in un movimento autonomo, vasto e decentralizzato di resistenza a cui si uniscono attivistx da ogni parte degli stati uniti e del mondo, continuando a lottare nonostante la costante repressione.

Questi percorsi di resistenza alla devastazione ambientale attuata dal capitalismo fossile all’insegna di un progresso che favorisce sempre le stesse élite, cercando di distruggere tutto ciò che incrocia sul suo cammino, risuonano con le nostre storie e con le nostre lotte, e con quelle che vengono portate avanti con determinazione in varie parti del mondo. Per questo è importante incontrarci e continuare a immaginare insieme un altro mondo possibile.

Dal 4 all’11 ottobre alcunx compagnx che hanno costruito e attraversano questi percorsi, saranno in Italia per condividere le loro esperienze con tutte le realtà, collettive, persone singole che abbiano voglia di incontrarsi, confrontarsi, immaginare insieme come continuare a resistere alla devastazione che avanza. Saremo a Bari (4 ottobre), Taranto (5 ottobre), Napoli (6 e 7 ottobre), Roma (8 e 9 ottobre) e Bologna (10 ottobre) e vorremmo costruire ognuno di questi momenti insieme, come momenti di scambio e d’incontro. Il giro si concluderá con la partecipazione dellx delegatx al World Congress for Climate Justice che si terrá a Milano dal 12 al 15 ottobre.

A Roma ci incontreremo l’8 ottobre al Lago Bullicante Ex-Snia alle ore 16:00, per riportare le esperienze di lotta dellx compagnx e permettere il confronto con tutte le realtà locali che si battono per la difesa dei territori e la giustizia sociale e climatica.

Saranno presenti le seguenti realtà:

Defend Atlanta Forest

Stop cop city

Futur@s indigenas

Asemblea de pueblos indigenas del istmo en defensa de la tierra y el territorio (APIIDTT)

Milpamerica resiste

Sos cenotes

Red de resistencia sur/sureste

De pueblo y Barrio

 

 

 

 

Per prendere parte all’organizzazione di una o piú tappe o per domande (mettere in copia entrambe le mail)

floreando.andos@gmail.com +39 3471599370 (whatsapp/telegram/signal)

alpaka@subvertising.org +1 916 7922965 (whatsapp/telegram/signal)

Per restare aggiornatx con materiali, articoli, informazioni sugli eventi

https://t.me/vociperlagiustiziaclimatica

 

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Giù le mani dai santuari! Presidi e mobilitazioni contro i massacri

Riceviamo e pubblichiamo il resoconto delle uccisioni avvenute la scorsa settimana al santuario per animali Cuori Liberi (Pavia) e le mobilitazioni che avranno luogo questa settimana a Pavia e Milano contro i massacri verso gli animali liberati.

La scusa da parte di polizia e celere, con la collaborazione dei veterinari, per aggredire il santuario e uccidere i maiali, è stato lo spauracchio della peste suina. Sappiamo però che gli unici interessi che vengono tutelati in questi casi sono quelli degli allevamenti intensivi dove nascono questi focolai -non pericolosi per gli animali umani-, che nascono a causa delle condizioni in cui gli animali non umani versano: turturati e stipati in spazi angusti, diventano vettore privilegiato della diffusione di epidemie. Come abbiamo già sostenuto, il problema in questi casi non sono i santuari e i rifugi per animali liberati, tutto il contrario: sono gli allevamenti intensivi e gli interessi milionari che li tengono in piedi a spese non solo degli animali, ma anche della salute umana. Ricordiamo, infatti, che in Lombardia gli allevamenti intensivi causano fino al 50% dell’inquinamento dell’aria da PM2,5, rendendo la regione una delle più inquinate d’Europa e causando un danno enorme alla salute di umani, non umani e territori.

Solidarizziamo con la rete dei santuari per le violenze subite e rilanciamo i prossimi appuntamenti nella speranza che fronti di lotta sempre più ampi possano prendere piede contro i massacri quotidiani che avvengono dentro e fuori gli allevamenti.


𝐆𝐈𝐔‌ 𝐋𝐄 𝐌𝐀𝐍𝐈 𝐃𝐀𝐈 𝐒𝐀𝐍𝐓𝐔𝐀𝐑𝐈
Ci vediamo
📍𝐌𝐄𝐑𝐂𝐎𝐋𝐄𝐃𝐈 𝟐𝟕 𝐒𝐄𝐓𝐓𝐄𝐌𝐁𝐑𝐄 𝐨𝐫𝐞 𝟖:𝟎𝟎
alla sede di ATS Pavia
via Indipendenza, 3
𝐏𝐑𝐄𝐒𝐈𝐃𝐈𝐎

📍𝐒𝐀𝐁𝐀𝐓𝐎 𝟕 𝐎𝐓𝐓𝐎𝐁𝐑𝐄 𝐨𝐫𝐞 𝟏𝟒
Milano (dettagli nei prossimi giorni)
𝐌𝐎𝐁𝐈𝐋𝐈𝐓𝐀𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄 𝐍𝐀𝐙𝐈𝐎𝐍𝐀𝐋𝐄
da Pressenza

I maiali di Cuori Liberi: reagire al trauma politico

E’ molto difficile scrivere, praticamente a caldo, dopo quanto successo, il 20 settembre, a Sairano, in provincia di Pavia. Da due settimane pendeva sul Progetto Cuori Liberi, un santuario per animali sottratti allo sfruttamento, un’ordinanza di abbattimento dei maiali presenti; attivistə da tutto il centro-nord Italia presidiavano giorno e notte la zona. Avevamo già respinto un tentativo di eseguire l’ordinanza, il venerdì precedente, incatenandoci ai cancelli del rifugio, ma questa volta è arrivata in forze la celere, decisa a sgomberare il posto per consentire ai veterinari dell’AST di eseguire la sentenza.

Per elaborare, almeno parzialmente, questo trauma, non posso che fare uno sforzo di ricostruzione della vicenda e provare ad articolare alcune considerazioni, con la lucidità che le difficili circostanze consentiranno. Perché questa ordinanza, innanzitutto? L’antefatto è che la Peste Suina Africana (PSA) è arrivata, come si temeva da tempo, negli allevamenti intensivi, per la precisione nella zona di Zinasco, dove la concentrazione di maiali è impressionante: 2-300 mila in una porzione della provincia di Pavia, oltre 4 milioni in Lombardia (la metà dei maiali allevati in Italia). La PSA è una malattia non trasmissibile all’uomo, ma contagiosissima e letale per i suidi (maiali e cinghiali). L’Unione Europea e il nostro paese si sono mossi per contrastarla con una vera e propria dichiarazione di guerra agli animali selvatici, sguinzagliando le associazioni venatorie per decimare i cinghiali nei boschi, e arrivando a firmare decreti che prevedono l’uso dell’esercito a fianco dei cacciatori. Il tutto, evidentemente, per salvaguardare gli allevamenti intensivi, vale a dire un settore strategico che è fondato su un’atroce e costante violenza sui suoi prigionieri e su un impatto ambientale ormai innegabile. E’ la stessa zootecnia, in realtà, ad essere responsabile della diffusione della PSA nel pavese, una zona in cui i campi sono continuamente cosparsi di liquami provenienti dall’industria suinicola e in cui la movimentazione di animali macellati o destinati al macello è quotidiana.

La soluzione delle istituzioni è quella di circoscrivere i focolai emersi dall’inizio di agosto abbattendo tutti i maiali delle aziende in cui sono stati riscontrati dei casi. Finora, oltre 30mila uccisioni, con metodi che vengono resi noti grazie a un’investigazione dell’associazione Essere Animali: container stipati di maiali e usati come camere a gas, con una serie di inquietanti violazioni delle norme di biosicurezza che dovrebbero contenere i focolai. In questo contesto, in cui tutti i protocolli di emergenza si attivano per difendere un settore mortifero e deleterio per il disastro climatico, la PSA arriva, purtroppo, nell’unico luogo della zona in cui i maiali vivono senza essere ammassati e, soprattutto, non sono lì per essere sfruttati. Il rifugio “Cuori Liberi”, infatti, come tanti della Rete dei Santuari di Animali Liberi e altri ancora (come IppoasiAlma LibreGrugno Clandestino), ospita animali di varie specie sottratti al circuito dell’industria della carne, del latte e delle uova. I maiali che vivono nella struttura non sono allevati: sono oggetto di cura. Quando si ammalano, vengono curati e, nei casi estremi, accompagnati alla morte circondati dall’affetto e dalle attenzioni dei propri cari.

La realtà dei rifugi/santuari italiani aveva di recente festeggiato una vittoria non indifferente, il riconoscimento giuridico. Con questo passo fondamentale, viene riconosciuta la differenza dagli allevamenti e dalle loro logiche produttive: nei rifugi, ora, gli animali non sono più formalmente “DPA”, cioè destinati alla produzione alimentare, ma sono in qualche modo equiparati ad animali d’affezione. E, vedendo il rapporto fra gli umani che gestiscono Cuori Liberi e i non umani che ci vivono, la situazione non sembra in effetti molto diversa dalla relazione che molti umani intrattengono con i “propri” cani e gatti (o meglio: a quelle, fra le relazioni fra umani e animali domestici, che riescono ad essere più genuine e paritarie).

Ma questo riconoscimento, nel pieno di un’emergenza sanitaria, sembra passare in secondo piano. La Regione Lombardia ordina l’abbattimento di tutti gli ospiti del rifugio, sia quelli malati che quelli sani. Ci mobilitiamo subito, presidiando i dintorni giorno e notte. Ogni tentativo di negoziazione o di risoluzione legale sembra fallire. Dopo una settimana si presentano per abbattere i maiali, ma trovano le persone incatenate ai cancelli e decine di attivistə che accorrono a portare la propria solidarietà all’esterno. Passa qualche ora e se ne vanno. Tornano in forze il 20 settembre, e non si fanno problemi a sgomberare il blocco con i manganelli e i tirapugni. Diversə fermatə, diversə feritə, e soprattutto accade quello che temevamo. Il cancello, bloccato anche da alcuni trattori, viene aperto e i veterinari dell’AST possono entrare a uccidere i 9 maiali sopravvissuti alla peste, perlopiù ancora sani e senza sintomi. Uccisi praticamente davanti ai nostri occhi mentre lo stato sfoggia tutta la sua forza per domare la rabbia che sta esplodendo. E, soprattutto, uccisi davanti ai loro familiari umani. Alcuni agenti ridacchiano, mentre noi piangiamo. Una veterinaria ride. Caricano i corpi senza vita sul camion davanti alla folla. Nel frattempo, il solito repertorio di insulti sessisti alle ragazze, di offese abiliste a chi resiste. Una crudele lucidità nella gestione dello sgombero, in cui le risate colpiscono più forte dei manganelli. Pur avendo vissuto situazioni di violenza poliziesca più efferata, nessuna di esse è stata crudele come veder trascinare via delle persone a cui rimaneva solo il proprio corpo per proteggere i maiali condannati a morte.

Si canta “Bella ciao”, forse con un amaro desiderio di continuità con le storie di resistenza umana riconosciute e celebrate da una sinistra ancora troppo antropocentrica: una continuità che ci piacerebbe ma che purtroppo non c’è, se non nei nostri cuori, perché qui ci sono solo antispecistə, come sempre. Una manciata di persone un po’ matte. E’ un momento di lutto, ma anche di rabbia. Dopo “Bella ciao” è il momento di “Tout le monde déteste la police”: qui la continuità forse è più reale, ce la offrono loro su un piatto d’argento, respingendoci con i loro scudi, portando via gente a caso, impedendo all’ambulanza di passare per soccorrere una compagna, identificando e intimidendo le attiviste al pronto soccorso. Se ne vanno dopo aver violato in tutti i modi possibili le norme di biosicurezza in nome delle quali erano lì, mentre noi facciamo di tutto per non diffondere questa malattia. Piangiamo e ci abbracciamo.

E’ uno shock. Lo è stato fin dal primo momento, perché quell’ordinanza era già un precedente pericoloso. Ma lo è ancora di più ora che è stata eseguita. Possono entrare in un rifugio e uccidere chi ci vive. Solo la lotta, solo i nostri corpi possono impedirlo, e stavolta non sono bastati. Quando sarà la prossima volta? Vorrei comprendere questo trauma che ci ha paralizzatə. Non c’è solo la strage davanti ai nostri occhi. Una compagna mi dice che il nostro movimento è “naturalmente” più radicale, che “quando noi perdiamo ammazzano qualcuno”. E’ vero, ed è per questo che eravamo dispostə a tutto. Ma inizio a riflettere sul fatto che c’è dell’altro.

Si tratta di un trauma tutto liberale, uno schiaffo alle nostre convinzioni sui diritti minimi in democrazia. Nella teoria, sappiamo bene che non è come ci raccontano: lo stato liberale non garantisce davvero, sempre e comunque, delle libertà formali come quella di non avere la polizia in casa. Sappiamo che la democrazia, all’occorrenza, diventa rapidamente fascismo. Ma sotto sotto abbiamo interiorizzato che, almeno se hai il privilegio della pelle bianca e la cittadinanza italiana, ci sono dei limiti. Vederli superati in pochi giorni è uno shock. Per certi versi, uno shock simile all’inizio della pandemia quando – al di là del giudizio di merito che si vuole dare sulle misure governative – ci siamo trovatə improvvisamente l’esercito per strada e la “sacra” libertà di circolazione (sacra soltanto per i cittadini a pieno titolo, come dicevo) è stata messa da parte. Il vero volto dello stato si vede in certi casi, e come antispecistə dovremmo saperlo bene.

Ora però è dichiarato: ecco a che cosa sono disposti per salvaguardare un settore economico insostenibile. Possono entrare nelle case private e ammazzare chi ci vive. Il rifugio, infatti, è più una casa privata che un luogo pubblico. Il rifugio è una famiglia multispecie. E il paragone con gli animali domestici (“prima o poi verranno a uccidere i cani nelle case”), che finora usavamo come espediente retorico, non è più così fantasioso. Altro elemento di questo trauma politico: non ci sono luoghi sicuri. Questo avevamo sempre pensato dei rifugi/santuari: luoghi sicuri, oasi di pace per rifugiati che recano impresse nel corpo le ferite di un passato di schiavitù. Quale sarà il prossimo luogo sicuro che si rivelerà violabile? Come risponderemo?

Mi chiedo incessantemente come abbiamo risposto. Se abbiamo fatto abbastanza, quali sono i rapporti di forza, che cosa significa questa mobilitazione emergenziale. Da tempo, in effetti, il movimento antispecista produce soprattutto risposte ad emergenze. Nel farlo, le politicizza e mette a nudo le contraddizioni di un sistema produttivo antropocentrico, neocoloniale, estrattivista. Ma resta nell’emergenza. A cui risponde con una determinazione e una disperazione che il nemico non riesce del tutto a comprendere, il che è un bene. E lo fa sparigliando le carte, per certi aspetti. Cito due elementi che mi hanno colpito in questo senso. Il primo è il protagonismo politico dei rifugi/santuari, che anni fa erano, per il movimento, luoghi deputati esclusivamente alla cura degli animali salvati, magari dal “movimento che conta” (le associazioni, le campagne contro la vivisezione o le pellicce, l’Animal Liberation Front). Non ci si aspettava prese di posizione, riflessioni, intersezionalità. Tutti elementi che oggi sono costitutivi di molti rifugi. Anzi, possiamo dire che il traino, il cuore pulsante dell’antispecismo, oggi, sono i rifugi. Il secondo è la coloritura di genere della mobilitazione. Per due settimane, la resistenza all’ATS e ai suoi sgherri è stata animata principalmente da compagne, e guidata da compagne. Forse questo ha sconcertato qualche maschietto cishet, ma viene da dire che era ora, in un ambiente in cui da sempre la componente femminile è maggioritaria, ma la leadership è maschile. La risposta immediata allo shock ha travolto anche la teoria antispecista, superata dagli eventi in un batter d’occhio. E, dunque, persone che credevano di essere divise da divergenze teoriche, si sono trovate affiatate e vicine in una disperata sorellanza. Grazie a chi c’era, ciascunə a modo suo. Ognunə è arrivato fin dove poteva, come è giusto che sia, ma alcune assenze sono state amare.

Certo però il lutto va elaborato e per elaborarlo c’è bisogno di lottare, non solo di rispondere agli attacchi ma di attaccare. E c’è bisogno di complici, soprattutto nei movimenti ecologisti che in alcuni settori hanno colto l’importanza di questa battaglia. Ancora una volta, come con il covid, il capitalismo specista genera malattie, le coltiva negli ammassamenti di corpi animali dove domina il profitto, e poi non le sa gestire, non le sa contenere, se non addossando colpe e oneri a chi non ha voce in capitolo: fasce vulnerabili, poverə, lavoratorə, cinghiali, maiali. Nella zona in cui sono stati abbattuti 30mila animali, i suini sono dieci volte tanti. Nella Pianura Padana, in certe ampie zone della Lombardia e dell’Emilia Romagna la popolazione animale negli allevamenti supera quella umana. E i campi intorno al rifugio Cuori Liberi, che ho imparato a conoscere nei giorni scorsi, sono letteralmente un inferno. I liquami, gli odori, i terreni devastati dagli agenti chimici e attorniati da campi di concentramento per maiali rimandano in continuazione ai nostri sensi un odore di morte che abbiamo imparato a disconoscere di fronte alla fettina di salame del supermercato cittadino.

Questo lutto ci accompagnerà, da oggi, in ogni lotta a venire.

Pumba, Dorothy, Ursula, Bartolomeo, Carolina, Mercoledì, Crusca, Spino, Crosta: scusate se non ce l’abbiamo fatta.

Puppy Riot – attivista antispecista anonimo presente alla protesta antispecista a Sairano del 20 settembre

 

* Per aggiornamenti sulle prossime mobilitazioni relative a questa vicenda, potete seguire i canali social della Rete dei Santuari di Animali Liberi.