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Voi G7, noi GSIM! Idee e pratiche di lotta verso il G7 in Puglia

 

La Puglia, fiore all’occhiello dell’iperturistificazione italiana, è stata scelta quest’anno come sede del G7 il 13, 14 e 15 giugno nell’esclusiva location di Borgo Egnazia, in valle d’Itria. Una notizia che ci fa sussultare ma non ci sorprende.

E’ già da qualche anno che il processo di gentrificazione e riqualificazione spietata non fa che approfondirsi, facendo il paio con un’ emergenza abitativa che vede raddoppiare gli sfratti negli ultimi due anni e con una precarizzazione generalizzata, ancor più per il lavoratori e le lavoratrici del settore turistico e della filiera agricola.

E mentre un turista divora pesce crudo nel suo trullo ristrutturato, si acuiscono i conflitti socio-ambientali e si rendono manifeste le più violente contraddizioni: dalla presenza dell’Ex Ilva ed Eni, passando per Tap/SNAM che stanno rendendo il Salento e non solo, un hub del gas, arrivando alle molteplici discariche di rifiuti ed inceneritori come quello che si vorrebbe realizzare a Bari, fino ai più recenti progetti come l’autopista Porsche a Nardò.

Così in Puglia, come in tutto il mezzogiorno, si esaspera la crisi socio-ecologica e climatica.

L’esigenza da parte delle collettive e delle soggettività meridionali è stata, ancor prima di fronteggiare questo ennesimo saccheggio di risorse, provare a costruire sia una piattaforma rivendicativa delle lotte sia uno spazio assembleare che sperimentasse pratiche di cura, decolonizzazione e decostruzione di linguaggi, restaurando il legame emotivo-politico che ci porta a difendere le nostre terre e le nostre vite.

Un coordinamento che faciliti la convergenza verso nuove pratiche basate sulla cura e il mutualismo tra le nostre comunità: GSim.

Per generare nuove reti di solidarietà e lotta incontreremo l3 compagn3 dell’assemblea Terronae unitae in lotta venerdì 23 febbraio alle h-18:00 al LOA Acrobax per un’asemblea aperta e per una gustosa cenetta a cura della TaBerta.

Con coordinamento GSIM, Zamp3 mostruos3, XR puglia, FFF Bari, Custodi del bosco Arneo

Menù veg a cura della TaBerta:

  • antipasto: vellutata di broccolo e cavolfiore + crostini
  • primi: pasta GSIM alle cime di rapa + opzione bimb3
  • secondi: frittata di farina di ceci con patate, scarola ripassata uvetta & capperi

Prenota! Scrivici su bertacaceres@autoproduzioni.net

 

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Colonialismo Green: voci dall’East Africa

Continuano gli approfondimenti sul colonialismo green in Africa verso l’evento di DOMENICA 18 febbraio alle 16:00, dove ne riparleremo a Casale Alba Due con l’intervento di:
– David Chemtai della comunità Benet Mosopisyek del Monte Elgon (Uganda);
– Teresa Chemosop Cheptuit della comunità Ogiek del Monte Elgon (Kenya);
– Kipchumba Rotich della comunità Sengwer della foresta di Embobut (Kenya);
– Fiore Longo (Survival International) – Carlotta Indiano (giornalista)

La Cop 28 di Dubai del sultano petroliere Al Jaber è terminata da tempo ormai. La Cop che verrà ricordata per aver ospitato il maggior numero di lobbysti dell’industria fossile di tutte le edizioni precedenti, 2456 presenti. La Cop che è stata definita della “reazione fossile”, per la strenue resistenza del comparto fossile, sotto il flebile attacco delle politiche per il clima. Nella serie degli scandali iniziali, tra i grandi temi del phase out dalle fonti fossili o del fondo loss and damage per i paesi del Sud globale più colpiti dalle crisi, passano nella sordina dei giorni iniziali della Conferenza le dichiarazioni della presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, programmatiche per il corso della Cop:

“Sappiamo tutti che se vogliamo mantenere il riscaldamento globale al di sotto del punto critico di 1,5 gradi dobbiamo ridurre le emissioni globali. Ed esiste un modo per ridurre le emissioni, promuovendo al tempo stesso l’innovazione e la crescita: dare un prezzo al carbonio. E’ uno strumento guidato dal mercato.” La missione Ue a Dubai ha lo scopo di “dare impulso a questo movimento globale. Lo scorso giugno a Parigi abbiamo lanciato un appello all’azione per creare piu’ mercati del carbonio in linea con l’accordo di Parigi. Oggi si uniscono a noi l’FMI, la Banca Mondiale e il WTO. Avete un ruolo essenziale nel sostenere e incentivare il cambiamento”.

La Presidente della Commissione Europea alla Cop ci restituisce, in maniera inequivocabile e programmatica, le due facce del concetto di “cambiamento” portato avanti dalla UE. Nella Cop egemonizzata dagli interessi del comparto Oil & Gas in cui si impone una narrazione sulla decarbonizzazione dei settori produttivi, sulla riduzione delle emissioni e sulla mitigazione degli effetti delle crisi climatiche tutto incentrato sulla finanza per il clima, le cosiddette Market Based Solutions, la faccia del fantomatico cambiamento in mano solo al mercato diventa chiarissima. Vengono messi al centro degli accordi per il clima i progetti per la vendita dei crediti di carbonio, le soluzioni che non intaccano la crescita, il business as usual, e anzi tentano di finanziare la transizione green creando occasioni di profitto e di espansione economica, mettendo in mano alla selvaggia libertà di mercato le sorti della convivenza globale. Queste soluzioni sono necessaria conseguenza del pilastro delle politiche per il clima che l’IPCC ha definito “net zero”o carbon neutrality, per il quale le emissioni di CO2 e gas a effetto serra di origine antropica devono essere bilanciate o compensate dalla CO2 che viene rimossa dall’atmosfera con delle tecniche di stoccaggio. Di fatto questo concetto di compensazione (offsetting) non ha nulla a che fare con un sistema di limitazione della sfera della produzione e del consumo, che punti alla limitazione dello sfruttamento delle risorse. La cornice della decarbonizzazione attuale, sospinta dalle ultime Cop, si fonda sulla compensazione e non sulla riduzione delle emissioni, con le cosiddette Soluzioni Basate sulla Natura, progetti atti alla conservazione e al ripristino degli ecosistemi per limitare la presenza nell’atmosfera dei gas serra, come i REDD + (Reducing Emissions from Deforestation and forest Degradation) progetti presenti soprattutto nel Sud globale, per diminuire gli effetti della deforestazione attraverso la conservazione delle foreste, e in ultimo con progetti per la rimozione dall’atmosfera di anidride carbonica CDS (Carbon Dioxide Removal) con riforestazione e altro. Questi progetti una volta costituiti e con una comprovata efficacia nell’assorbimento di CO2, possono iniziare a vendere dei titoli finanziari, i crediti di carbonio. Un credito emesso rappresenta la rimozione, la riduzione o l’evitamento di una tonnellata di CO2 (o di una quantità equivalente di altri gas serra). Questo permette alle grandi aziende e agli stati che emettono gas serra, quindi soprattutto all’Occidente bianco e ricco, di compensare le tonnellate emesse, finanziando progetti di conservazione della natura o riforestazione nel Sud globale, salvandolo, così dicono, dagli effetti della crisi crisi climatica da cui è maggiormente afflitto, utilizzando peraltro un criterio esclusivamente quantitativo di compensazione dalla comprovata inefficacia, ma che soprattutto permette di lasciare invariati i tassi produttivi e di profitto del sistema economico capitalistico, che ne sono la vera causa ultima.

Dipti Bhatnagar, coordinatrice del programma sulla giustizia climatica di Friends of the Earth International, alla Cop26 di Glasgow di due anni fa affermava: “il net zero e i mercati di carbonio non sono altro che una scusa per i paesi ricchi e per le imprese responsabili della maggior parte delle emissioni globali di continuare a produrre, consumare e emettere senza dover rivedere le loro politiche di riduzione. Inoltre, il sistema di compensazione di emissioni è solo un modo per trasformare la natura in un oggetto economico, da vendere come offset (compensazione) e come quota di mercato del carbonio. Ma su quali terre e nelle foreste di chi hanno intenzione di farlo?”

La risposta a questa domanda arriva dall3 compagn3 africane in lotta contro questi progetti. Le parole che vengono dalle stanze del potere di Dubai o da quelle di Glasgow fanno il paio con le notizie che le comunità degli Ogiek della foresta di Mau in Kenya o l3 compagn3 Mosopisyek di Benet dall’Uganda ci danno, dei continui sgomberi che le loro comunità stanno subendo dalle loro terre ancestrali per far spazio a progetti di conservazione. Dalle loro voci in lotta, Eunice Chepkemoi, della comunità degli Ogiek di Mau e delle East Africa Women Led Assemblies:

“ E’ il governo che fa affari con il nostro ecosistema, la nostra terra, disconnettendoci da essa. Il Presidente ha dichiarato le intenzioni del governo di appropriarsi della foresta di Mau espellendo gli Ogiek di Mau. E’ comprovato che finanziamenti e progetti legati alla crisi climatica stanno alimentando questi sgomberi. La comunità sta soffrendo enormemente per queste azioni.” Un altro attivista aggiunge: “ Gli organi che governano le foreste del Kenya si aspettano di guadagnare molto da queste azioni. La foresta di Mau è la più grande del Kenya e per noi è chiaro che l’interesse mostrato dalle compagnie che vendono le compensazioni sta spingendo il governo ad appropriarsene. Gli Ogiek sono le prime vittime di queste false soluzioni per il clima che giustificano gli attuali sgomberi ed emissioni di CO2.”

Ed è infatti proprio in Kenya, nella cornice dell’ultimo African Climate Summit a Nairobi, che sono stati presi determinanti accordi per l’incentivo alle forme di compensazione del carbonio attraverso il mercato dei carbon credits, fortemente voluti dai governi del Nord globale. L’illuminato presidente ecologista keniano William Ruto ha firmato accordi, assieme a Liberia, Tanzania, Zimbabwe, con la Blue Carbon di Dubai, agenzia di certificazione di carbon credits, legata alla famiglia reale emiratina. Una concessione di terre di 24 milioni di ettari, per costituire progetti di stoccaggio di CO2 attraverso riforestazione o conservazione delle foreste, accusando falsamente le comunità locali del degradamento di quest’ultime. Questi accordi che alimentano nuovi processi di appropriazione diretta, enclosure di terre comuni indigene, parlano delle comunità che resistono agli espropri delle loro terre ancestrali e alimentano le false soluzioni per il clima nelle mani delle compagnie private o di stato che, incentivate dalle grandi ONG della conservazione come WWF o WCS, creano le condizioni per il capitalismo in crisi di continuare processi di estrazione di valore dalla terra e dalle comunità anche attraverso i mercati finanziari, con una nuova cornice ideologica salvifica a darle manforte, le politiche ONU per la mitigazione degli effetti della crisi climatica.

Questa la bella faccia del capitalismo a marca green che rende ancora più chiaro come concetti quali, sostenibilità, mitigazione e decarbonizzazione siano risignificati e sovvertiti in nome di un nuovo colonialismo green che espande le frontiere dell’estrazione di valore dalla natura e dello sfruttamento, per una nuova fase di accumulazione originaria di terre comuni ricche di risorse, cosicchè le grandi compagnie emettitrici del Nord del mondo possano continuare a farlo, con un occasione di profitto maggiore, ripulendo peraltro la loro immagine con la maschera di vendere prodotti a net zero emissions, scaricando sia le conseguenze più devastanti della crisi climatica che generano che quelle violente della conservazione della natura sul Sud globale.

La faccia del capitalismo green contemporanea si presenta con lo stesso ghigno di chi offriva perline di plastica nel Congo Basin per avorio e oro, in un dialogo attualizzato tra il colono e il colonizzato: porteremo lo sviluppo sostenibile, energia pulita, soldi della World Bank e il sostegno spassionato delle ONG della conservazione, porteremo masse di turisti dai cappelli a tese larghe e che amano gli animali più che i loro figli, ma non vi preoccupate non vi daranno fastidio dalle loro torri d’avorio dei resort di lusso; in cambio dateci le vostre foreste e noi vi faremo fare profitti dalla vendita dei carbon credits vi insegneremo come cucinare in maniera più efficiente e green e come allevare il vostro bestiame in maniera più sostenibile; vi mostreremo che piantare delle monoculture, delle immense foreste di soli pini ed eucaliptus, farà bene al pianeta e alle vostre economie locali; vi diremo di smetterla di cacciare per sostentamento gli animali della savana, lo faremo noi per voi, e meglio di voi nelle nostre Game Reserve dove faremo soldi coi cacciatori bianchi.

Se da un lato le tante milizie africane al soldo delle Ong bianche della conservazione uccidono le comunità indigene in difesa delle loro terre, e se i presidenti conniventi con gli interessi del Nord globale firmano accordi voluti dalle Cop per il clima e dalle aziende Oil & Gas, un fronte resistente a fianco delle compagne indigene di tutto il mondo si opporrà oggi e sempre ai falsi accordi per il clima, occasione di profitto per le aziende private; i responsabili delle cause strutturali delle crisi globali non ne saranno mai la possibile risoluzione.

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La nuova maschera del predatore occidentale è di colore verde

Sono passati pochi giorni dalla fine del summit Italia Africa per il “Piano Mattei” e dell’ approccio “non predatorio” dichiarato da mesi non c’è traccia. Si è parlato di sicurezza energetica per l’ Italia e di controllo dei flussi migratori, traduzione: estrattivismo colonialista delle risorse fossili e ulteriori accordi per la militarizzazione delle frontiere. Questa relazione di dominio neocolonialista non è una novità e non solo frontiere, oil&gas sono al centro di questa dinamica. La nuova maschera del predatore occidentale è di colore verde.

Il 2 novembre il governo kenyota ha sgomberato brutalmente persone appartenenti alla comunità Ogiek dalla foresta di Mau. Polizia e guardia parco hanno bruciato case, sparato e usato gas lacrimogeni in nome di una conservazione della natura che trova ispirazione dalla creazione dei grandi parchi degli Stati Uniti sulle terre degli indiani d’ america. Le persone indigene, secondo questo approccio, sarebbero una minaccia per lo stesso ecosistema che hanno conservato per secoli e che vengono svuotati dalla loro presenza, recintati e difesi militarmente. L’ unico accesso possibile ha un ticket da pagare per i turisti bianchi appassionati di documentari naturalistici e di Jane Goodall.

La storia dei Mau non è un caso isolato ma è in comune con altre aree dell’ East Africa, e del resto del sud globale.
Dal monte Elgon in Uganda arrivano ancora oggi notizie della violenza che viene riservata alla popolazione dei Benet Mosopisiek. Pallottole su persone e animali sono il trattamento che riceve chi torna nella foresta anche solo di passaggio.

Queste violenze hanno una mano bianca e parole occidentali a legittimarle. Il WWF e altre ong della conservazione sono complici degli obiettivi di compensazione della CO2 che sono stati discussi nel recente Africa Climate Summit 2023 di Nairobi e nella COP28 di Dubai. Il mercato dei crediti di carbonio è il mandante di questi progetti che prevedono moltiplicazioni delle aree naturali militarizzate.

Ancora una volta le soluzioni al cambiamento climatico sembrano solo nuovi modi fantasiosi e coloniali di fare profitto e allontanare sempre più in là l’uscita dalle fonti fossili.
Ma del resto, chi è causa del nostro male non avrà soluzione che per sé stesso.

DOMENICA 18 FEBBRAIO, h. 16
🏡 Casale Alba Due
Parleremo anche di questo con attivist3 ingigen3 dall’ East Africa, Irpi media e Survival International.
⚡️Stay tuned per gli aggiornamenti