Categories
General

Lettera di M. alla Laboratoria

Per più di 20 anni, l’immagine della terra dallo spazio è stata usata come logo del movimento ambientalista, apparendo su innumerevoli t-shirt, maglie, braccialetti e zaini. Per proteggere questo fragile globo, si organizzano vertici ambientali e si celebra la Giornata della Terra. Siamo tutti giunti alla conclusione che se non cambiamo il nostro comportamento, dobbiamo preoccuparci del futuro del nostro pianeta, come se avessimo a che fare con una specie in pericolo o con uno dei suoi figli che muore di fame in una terra lontana.

Ma smettiamo di lodare la Terra ! Smettiamo di credere che stiamo lottando per essa ! Questo povero pianeta? Siete sicuri ? Sapete che ci sono state almeno 5 estinzioni di massa e a volte meno dell’1% delle specie sono sopravvissute. Affrontando tutti i pericoli, i venti solari, i campi di ghiaccio, le meteore e così via, la Terra è ancora lì, impassibile. Renditi conto che non importa cosa succederà all’umanità, il pianeta rimarrà lì per molto tempo. Continuerà il suo balletto celeste e parteciperà ancora e ancora a questo valzer cosmico, questo bolero astrale che dà ritmo ai cicli del tempo e dello spazio. Come se l’uomo fosse il garante della Vita, come se il destino del nostro caro pianeta fosse nelle nostre mani. Che arroganza!

Meravigliandoci di questo fragile e delicato globo blu, impegnandoci a venire in suo soccorso, assumiamo il ruolo di un genitore protettivo, lontano mille miglia dalla realtà. Questa visione è perniciosa come quella di Bacone. Lui chi Ha percepito la Terra come una macchina al nostro servizio e ha convinto l’Occidente di questo. Questo paradiso della vita non sarebbe altro che un frigorifero gigante, e tutto quello che dovremmo fare è aprire la porta per servirci. Queste sono visioni in cui noi giochiamo il ruolo principale. Quindi so che siamo gli eredi dell’antropocentrismo giudeo-cristiano, ma è ora di tagliare il cordone ombelicale, di prendere il volo e sublimare tutto quel passato. Non invertiamo più i ruoli, sono gli esseri umani ad essere fragili e vulnerabili, e a vivere su un pianeta nutriente che li mantiene in vita.

Quando vedo il saccheggio delle risorse naturali, tutte queste crepe, questi buchi nel cielo e nella pietra, queste fratture, queste schegge, le viscere aperte della Terra, non sono tanto preoccupato per il pianeta. Sono più preoccupato per l’uomo. E sì! Se l’uomo persiste nel separarsi da questa matrice che è il nostro pianeta. Temo che riuscirà a convincerlo di essere un corpo estraneo. E crediamo che voi sappiate cosa succederà in questo caso. L’organismo del pianeta rifiuterà l’innesto umano e alla fine cauterizzerà la ferita pruriginosa. A quel punto sarà troppo tardi per considerare qualcosa. Così, crediamo che la questione non stia tanto nel come proteggere il pianeta, che, se superiamo i suoi limiti, può annientarci, ma piuttosto nella capacità di ogni individuo di rendersi conto di appartenere a un insieme più grande che lo supera.

Cosa possiamo tramandare per il domani ? se non una grande ciotola di umiltà, se non questa saggezza che metterà in discussione la nostra visione del mondo e dell’essere umano.
Questo stato di coscienza è il terreno di coltura di un’intelligenza collettiva che ci guiderà verso l’armonia, e questo terreno di coltura si arricchisce ogni giorno qui a Berta! Cosa possiamo trasmettere per il domani se tutto si ferma oggi? Ci meravigliamo dell’intelligenza artificiale, cerchiamo la vita extraterrestre. Perché tutte queste fantasie quando basta guardare in basso per vedere la vita che brulica, per vedere tecnologie così avanzate che non sappiamo come riprodurle. Abbiamo dovuto aspettare l’arrivo del microscopio elettronico per capire l’idrofobicità che caratterizza le foglie del loto ancestrale. Ma ancora oggi non sappiamo come fare superfici durevoli di questo tipo. Perché cercare soluzioni esterne quando c’è già tutto? Prendiamo coscienza delle colossali capacità che abbiamo intorno a noi. Non crediamo che qualcosa possa essere insegnato o inculcato. Crediamo piuttosto che aprendo il nostro cuore, lasciando trasparire la nostra vulnerabilità e andando oltre le maschere che indossiamo, chi ci osserva potrà capire che è possibile. Oggi vorremmo trasmettere questo barlume di speranza, essere lo specchio di coloro che ci osservano affinché si rendano conto che non ci sono vincoli reali.

Compagne, compagni! Ricordatevi che siamo tutti uno! Smettete di cercare di conquistare la terra e il cielo e lasciate che la terra e il cielo conquistino voi, perché in ognuno di voi, in ogni sasso, in ogni spina di pino, in ogni cipresso, in ogni torrente, in ogni folata di vento, in ogni roseto, in ogni granello di sabbia, in ogni atomo, c’è una vibrazione dell’onda che è vita.

Forza Berta!

Categories
General

BERTA È TORNATA A VIA DELLA CAFFARELLA 13!

 

CONTRO LE GUERRE CAPITALISTE 1000 LABORATORIE ECOLOGISTE

📌 APPUNTAMENTO h 12 per difendere l’occupazione.

🥪 Pic nic;
🎶 Djset a cura di Dost
🎤 Assemblea pubblica.

La guerra in Ucraina è cominciata due mesi e mezzo fa. Durante questo tempo governi e istituzioni non hanno saputo, né voluto, creare alternative contro l’ennesimo conflitto che sta massacrando l’Est Europa. Tra lacrime di coccodrillo e finte diplomazie, i governi europei stanno investendo miliardi sugli armamenti e stanno correndo a destra e a sinistra alla ricerca di fonti fossili.

Sottraiamo nuovamente all’abbandono via della Caffarella 13 perché vogliamo aprire spazi di conflitto contro l’intero assetto culturale e politico che ancora legittima la dipendenza dal fossile. Riteniamo che la crisi climatica sia ormai inscindibile dalle guerre che aggrediscono senza tregua popoli ed ecosistemi. Una lotta ecologista veramente radicale non può quindi ignorare che la stessa guerra che piega luoghi apparentemente lontani è onnipresente nelle nostre vite, sotto tante forme diverse: come confine di Stato che produce morte, come repressione poliziesca che annienta il dissenso, come carovita, flessibilizzazione del lavoro, devastazione dell’ambiente e privatizzazione dei beni comuni, come ci dimostra il nuovo DDL Concorrenza del governo Draghi. Sappiamo bene che le guerre che devastano e inquinano le terre sono portate avanti e sostenute dalla stessa logica mercificante e liberista che sottrae spazi comuni per renderli spazi di creazione di guadagno economico per pochi. Come succede in via della Caffarella 13, spazio da cui siamo state sgomberate il 24 marzo scorso.

Lo stabile di proprietà della Regione Lazio, che si trova in un parco regionale protetto, è stato abbandonato nel 2011 e successivamente messo all’asta attraverso Invimit, soggetto tecnico del MEF che, in tutto il paese, sta guidando i processi di messa a valore e privatizzazione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici. Non si tratta di un processo neutro: al contrario, è frutto di precise scelte politiche che vogliono aumentare le possibilità del privato di fare profitto sul pubblico e sui servizi. Un processo di questo tipo sta avvenendo in modo sistematico: ad esempio, sul patrimonio immobiliare pubblico del comune Napoli. Immerse in questa logica speculativa, le istituzioni coinvolte nella gestione dell’immobile, sempre pronte a riempirsi la bocca pubblicamente di temi ambientali, non hanno colto l’urgenza della nostra proposta politica e, nell’incontro che con loro abbiamo avuto il 31 marzo, hanno fatto muro contro ogni nostra richiesta.

Della stessa scuola è il Ministro della transizione Cingolani, che si adopera solerte per accaparrare risorse fossili in giro per il mondo e favorisce il ritorno delle centrali a carbone utilizzando i fondi del PNRR. Siamo convintǝ che per contrastare concretamente questi processi sia quanto mai necessario aprire spazi di condivisione comunitaria e di riappropriazione dal basso, attivatori di autogestione. La necessità di spazi come questo è provata dal fatto che, a differenza delle istituzioni, la città ha colto la rilevanza del nostro progetto, partecipando in forze ai 18 giorni dell’occupazione e continuando a seguirci in tutte le mobilitazioni da noi costruite dal 24 marzo ad oggi.

Liberando via della Caffarella 13, abbiamo mosso i primi passi verso un posizionamento dal basso contro la guerra, attraverso assemblee e incontri. Abbiamo costruito pratiche femministe e transfemministe. Analizzato e valorizzato utilizzi non consumistici dell’acqua e del cibo.
Abbiamo aperto spazio all’intreccio delle istanze territoriali che abitano Roma, consapevoli che la guerra sui nostri corpi passa attraverso la centrale al carbone a Civitavecchia, la gestione mafiosa dei rifiuti ai Castelli Romani, il nuovo termovalorizzatore voluto da Gualtieri, la gestione criminale che Acea fa dell’acquedotto romano. Abbiamo utilizzato lo strumento dell’alimentazione vegana come rifiuto del sistema devastante degli allevamenti intensivi.
Abbiamo difeso lo spazio senza tuttavia chiudercisi dentro. L’abbiamo reso il più permeabile possibile e, allo stesso tempo, ne abbiamo avuto cura. Berta voleva essere tutto questo il 6 marzo scorso e vuole essere questo anche oggi.

Torniamo dentro via della Caffarella 13 perché la rivoluzione ecologista non si sgombera, perché le nostre ragioni sono valide oggi come due mesi fa, e perché non ci faremo impaurire davanti alla repressione che abbiamo subito. Perché Berta Vive, e continua ad ispirarci nella lotta.

L.E.A. Berta Cáceres

Categories
General

Primo maggio 2022 – Hanno provato a seppellirci, ma non sapevano che eravamo semi

 

Il nostro intervento integrale dal palco del Forte Prenestino il primo maggio:

 

Ciao a tuttu dalla Laboratoria Ecologista Autogestita Berta Cáceres. Una laboratoria nata il 6 marzo di quest’anno alla Caffarella per convogliare verso di sé le lotte ecologiste e transfemministe, della città e transnazionali.

Ci siamo ispirat a Berta Cáceres, un’attivista honduregna per i diritti dei popoli indigeni. Una donna, femminista, una donna del popolo Lenca che combatteva contro una grande opera che avrebbe distrutto il territorio sacro per i Lenca.

È stata uccisa nel 2016 dai sicari mandati dall’azienda che voleva costruire l’opera e dallo stesso governo honduregno, perché provava a opporsi alla logica estrattivista del capitalismo per la quale l’ambiente e le persone solo risorse da consumare. La stessa logica che causa guerre, sfruttamento e devastazione di territori e corpi. Berta non è morta, si è moltiplicata.

Si è moltiplicata in tante forme, anche nell’azione di un collettivo che dall’altra parte del mondo si oppone alle stesse logiche del capitalismo, insostenibili, a cui si opponeva lei.

Il collettivo ha liberato uno spazio pubblico con l’intenzione di evitarne la vendita all’asta e la messa a profitto. Lo spazio è stato aperto alla collettività, dopo essere stato chiuso per più di 10 anni. Uno spazio in un parco, il parco della Caffarella, strappato anch’esso con fatica alla speculazione edilizia, anche grazie alla determinazione delle comunità che attorno a quel parco vivevano e vivono e che continuano a prendersene cura.

Abbiamo abitato quel posto per praticare quotidianamente una socialità diversa, la sovversione dei generi e dei consumi, uno stare insieme basato sul benessere di tante persone e non sul profitto di poche.

Per 20 giorni siamo stat attraversat da centinaia di persone, che hanno immaginato cosa poteva diventare la laboratoria, partecipando ad assemblee, autoformazioni, presentazioni, cineforum, incontri di convergenza con molte realtà che portano avanti lotte affini. Come quelle per il diritto all’abitare, i gruppi ambientalisti, i comitati territoriali del Lazio e di fuori regione che combattono contro l’inquinamento, per la salute delle persone e del territorio, chi porta avanti le battaglie per la riduzione dei rifiuti, per una mobilità sostenibile, collettivi transfemministi e antispecisti. E le tante realtà degli spazi liberati di Roma e non solo.

Nonostante questo, uno sgombero portato avanti con tempistiche e modalità infami, è arrivato il 24 marzo. Proprio il giorno dopo la notizia che Andrea Dorno, compagno di molt di noi, ci aveva lasciat.

Ma abbiamo subito rilanciato la nostra mobilitazione, con il corteo ecologista per il Global Strike il giorno dopo. E il giorno dopo ancora abbiamo marciato al fianco di lavorator GKN a Firenze.

Per dire, insieme a loro, che la salute, l’ambiente e il lavoro non sono alternative l’una all’altra.

E per dire che rifiutiamo il ricatto neoliberista che obbliga alla scelta tra un posto di lavoro e la sopravvivenza economica da una parte, e dall’altra la tutela della salute di corpi e territori.

Vogliamo uscire dall’unica via del lavoro al servizio del capitale.

La convergenza delle lotte ecologiste e per il lavoro, denuncia l’infondatezza di questo assioma. Siano esse in fabbrica, ufficio, strada, casa, smart working, università, città, campagna, in disoccupazione o non lavoro (volontario e non).

Se lo scopo è la cura e la rigenerazione, lavoro può voler dire risanamento ambientale, bonifica, sostegno di persone, animali e territori (sanità, supporto psicologico, mediazione, re-integrazione, assistenza sociale, accudimento di persone e animali, cura di aree protette, manutenzione, riparazione…)

Vogliamo vedere un futuro in cui, non una transizione, ma una rivoluzione ecologica, fatta di scelte condivise dal basso, reimpieghi lavorator in nuove mansioni. Ma pretendiamo che questo passaggio ci veda protagonist, perché le conseguenze delle decisioni ricadono su tutt noi.

Come ricadono su di noi le scelte scellerate legate alla guerra in Ucraina. Oltre al rincaro dei prezzi, che ancora una volta mette in difficolltà chi è già in difficoltà, si vede un ritorno a fonti inquinanti, come il carbone. Come unica soluzione all’incapacità di approvvigionamento di risorse energetiche da regimi che non siano totalitari. La soluzione, per il governo, e per il ministro Cingolani, è prendere il gas in Congo e Algeria, ripetendo sempre gli stessi errori. Per non parlare degli affari di Eni in Egitto, il cui prezzo da pagare è il silenzio su casi come quello di Giulio Regeni, di Patrik Zaki, ma anche di Rasha Azab.

Non vogliamo che tempi e modi della riconversione ecologica siano imposti da chi finora ha lucrato provocando i danni che adesso fa solo finta di voler risolvere. Con definizioni fuorvianti, come su gas e nucleare, diventate improvvisamente fonti sostenibili. Con false prospettive di miglioramento dei servizi che nascondono solo altre privatizzazioni a unico beneficio del profitto privato.

Inclusa in questo quadro è la sanità. Negli ultimi anni più che mai abbiamo visto come la salute sia una questione di classe. Il prezzo più alto della pandemia è stato pagato da soggettività femminilizzate, subalterne, già emarginate e in difficoltà. Sappiamo quanto l’elemento ecosistemico sia stato determinante nella nascita e nella diffusione del virus.

Alla sindemia, ormai dato endemico, si risponde a suon di stati di emergenza, buoni da usare in ogni occasione. Per motivi sanitari, per la guerra e addirittura per la gestione del ciclo dei rifiuti.

La crescita infinita e indiscriminata della nostra società non è né possibile, né auspicabile. Rifiutiamo di essere consumator inconsapevoli al servizio del sistema capitalistico che produce solo soldi, merci, frustrazione e rifiuti. Riconosciamo i falsi bisogni indotti da un ingranaggio che genera insoddisfazione per ottenere guadagno.

Rifiutiamo il soddisfacimento cieco di bisogni materiali quando questo avviene sulle spalle di altre soggettività, sfruttando la forza lavoro secondo logiche disumane, e dell’ambiente, secondo un modello estrattivista che distrugge popolazioni e territori. Un modello che guadagna dallo sfruttamento disumano del lavoro migrante, di soggettività razzializzate o in posizione di subalternità e necessità.

Boicottiamo prodotti e sistemi che riteniamo dannosi e rivendichiamo il potere di un uso e consumo essenziale e consapevole, che scelga di sostenere modalità produttive e riproduttive veramente sostenibili. Sapendo che l’orizzonte non è individuale, ma è all’interno di un ecosistema complesso, ed è alla luce di questo che vanno re-inventate le risposte.

Un lavoro non precario e con ritmi più umani equivale a tempo per soddisfare i bisogni, personali e collettivi, oltre il mero sostentamento economico. Vediamo la possibilità di un mondo in cui ognun abbia il necessario, possa esprimere la propria individualità e condividerla con altr. un reddito garantito per tutt può essere un modo per venire incontro a questi bisogni.

E ribadiamo anche il nostro diritto a non lavorare. A non vivere per lavorare. A non lavorare per vivere, o per sopravvivere.

 

Buona festa del non lavoro

Buoni 36 anni di occupazione

Per ogni sgombero, 10 100 1000 occupazioni!

Berta dall’Honduras, ce l’ha insegnato. Difendere la terra non è reato!