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La violenza dello Stato ha tante facce. Spacchiamole tutte!

Martedì 5 luglio alle 6.15 decine di guardie in borghese, con il supporto dei vigili del fuoco, sono entrate a berta, invadendo il giardino nel giro di qualche minuto.
La sola presenza fisica di una cinquantina di uomini cis bianchi e violenti, che in più erano guardie di ogni tipo (carabinieri, polizia, ros, digos, celere, vigili del fuoco ed operai), è emblematica di tutti i livelli di violenza che lo stato agisce contro gli spazi liberati, antifa, transfemministi, ecologisti ed antispecisti.
Nei primi minuti dello sgombero si sono interfacciati con le tre persone presenti al piano terra (due ragazze ed un ragazzo) chiudendole in una stanza, sequestrando loro i telefoni (nonostante le richieste di chiamare l’avvocato, rifiutate) e restituendoglieli solo dopo quella che loro definivano “operazione speciale” (ahah), ovvero la presa del terrazzo.
Di fronte alla nascita di resistenze, hanno preso le due ragazze presenti e le hanno sottoposte ad una perquisizione completa (con tanto di squat) con finalità punitiva disciplinante, senza dichiarare il motivo della perquisizione (infatti è stato perquisito solo il corpo, non borse ed altri effetti personali), e senza rilasciare alcun verbale. Non essendoci nessun provvedimento di perquisizione personale, questa si è configurata come atto illecito, un abuso con la finalità di umiliare.
Infatti, la perquisizione è avvenuta in modo volutamente arbitrario, nei confronti di sole due persone, agendo quindi la solita individuazione di quelli che vengono ritenuti i soggetti meno disciplinati che, di conseguenza, vengono isolati e colpiti.
Lo Stato ha agito con un’operazione in grande stile, con la totale complicità delle istituzioni (regione lazio in primis), le quali pensano di sgravarsi dal ruolo repressivo loro intrinseco delegando le azioni di polizia alla macchina repressiva dello stato. noi vogliamo invece riaffermare con forza che le responsabilità sono inscindibili e condivise e che stato e istituzioni, ovvero potere statale e politico, sono complici delle stesse brutture, dentro le città così come alle frontiere e nei non luoghi delle carceri.
L’obiettivo dell’operazione di martedì è stato di soffocare l’esperienza di Berta nel minore tempo e resistenza possibili. Questo dimostra che, al di là di via della Caffarella 13, lo Stato e le sue istituzioni hanno timore dei semi che stiamo spargendo e delle tempeste che nasceranno “da ogni singola goccia”.
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La rivoluzione ecologista non si sgombera – Comunicato dal corteo post sgombero

Ieri mattina (5 luglio), con un’operazione massiccia delle FDO, nella quale le istituzioni di governo sono rimaste silenti, la Laboratoria Ecologista Autogestita Berta Cáceres è stata sgomberata dai locali di via della Caffarella 13, dove aveva costruito una casa per le lotte ecologiste e uno spazio aperto al territorio.
Si tratta del secondo sgombero dallo stesso posto nel giro di cinque mesi – di cui tre passati dentro a via della Caffarella. Mesi in cui è sbocciata una realtà politica in profonda simbiosi con il luogo liberato e restituito a tutt3, sottratto alla mortifera gestione della Regione Lazio. A partire da qui, è cresciuta una sperimentazione di ipotesi di futuro e presente diversi, in contrasto con la realtà di violenza sociale e di crisi climatica che viviamo tutti i giorni nelle strade di Roma. Nell’oggi funestato da incendi, siccità, morti legati alla catastrofe climatica, violenza sui corpi non conformi, inflazione feroce, lotta senza quartiere alla povertà, questa sperimentazione non è auspicabile: è necessaria.
Per esprimere la rabbia per l’ingiustizia che questo sgombero rappresenta ieri pomeriggio abbiamo occupato le strade della città con parole, idee, passioni e coraggio. La città ha dimostrato di riconoscere l’importanza del progetto della Laboratoria partecipando e condividendone la rabbia e il cammino.
Si è partit3 dalla Regione Lazio, denunciando la pochezza politica di quell’istituzione, involucro di cemento che protegge con la violenza interessi nemici. Da lì, sfilando per le vie di Garbatella e comunicando con il quartiere ci siamo pres3 una rivincita contro il Ministero della Transizione Ecologica, che ha i seggi sporchi del nostro sangue, a partire da quello dei morti della Marmolada. Ci siamo ripres3 infine la nostra casa, i sanpietrini dell’Appia antica, bloccando con determinazione il traffico e avanzando fino all’imbocco di via della Caffarella.
Hanno tolto lo spazio fisico alla Laboratoria, ma ciò che in quello spazio è nato non si può togliere, né fermare. Le iniziative programmate per i prossimi giorni avranno luogo in altri spazi, mentre l’azione politica continuerà esattamente sugli stessi temi.
LA RIVOLUZIONE ECOLOGISTA NON SI SGOMBERA!
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Roma brucia, le istituzioni tacciono, la polizia sgombera. Berta resiste!

A due mesi dalla rioccupazione, questa mattina la Laboratoria Ecologista Transfemminista Berta Càceres, in Via della Caffarella 13, è stata sgomberata dalla polizia per ordine del Tribunale di Roma.

Questo pomeriggio alle ore 17:30 ci ritroveremo sotto la sede della Regione Lazio, responsabile politico di questo sgombero, per poi muoverci insieme, nelle strade della Garbatella, per raggiungere il Ministero della Transizione Ecologica, responsabile politico della totale incapacità di affrontare seriamente le conseguenze drammatiche e visibili della crisi climatica ed ecologica.

Come ben sapete, il 7 maggio abbiamo rioccupato via della Caffarella 13 e così abbiamo riaperto lo spazio a tutta la comunità. Da allora abbiamo organizzato decine di iniziative di ogni tipo, partecipando a mobilitazioni cittadine e nazionali e riportando la crisi ecologica al centro dell’attenzione metropolitana.

Attorno a noi tutto continua a dimostrare che abbiamo tristemente ragione: la crisi ecologica e sociale che viviamo è spaventosa. I danni all’agricoltura, le montagne prive di neve, i fiumi in secca e le temperature in drammatico aumento ci dimostrano quanto sia urgente riflettere e agire per salvare il pianeta dalla catastrofe climatica. Una crisi che non può essere più negata, basti pensare al disastro della Marmolada, e che viene capitalizzata sulla pelle delle persone che ogni giorno devono lottare per sopravvivere in questa società. 

Liberando Villa Greco abbiamo anche riaperto il problema politico della gestione del patrimonio pubblico cittadino, di quale sia la visione di esso che ne hanno le istituzioni e di quale progettualità ci possa essere a riguardo. Occupare Villa Greco è stato fatto anche per salvare un pezzo del parco della Caffarella dall’ennesima speculazione da parte del capitale finanziario a scapito del bene pubblico.

Vendere il patrimonio pubblico per fare cassa significa sottrarre a chi vive la città spazi di relazione e di confronto che siano liberi dalla logica mercificatoria, privatistica e mortifera del capitalismo. Significa permettere alla proprietà privata e alle sue forme distorte provocate dalla finanziarizzazione del mercato immobiliare, non solo di fare profitti, ma di dettare le regole del gioco in modo autoritario. 

Chi c’è dietro la finanziarizzazione? Sostanzialmente c’è la dematerializzazione del bene immobile, del senso stesso di proprietà, al fine di rendere il tutto impalpabile e inafferrabile, suppostamente governato solo dalle invisibili leggi del mercato.

Non conosciamo il vostro progetto rispetto a Villa Greco, pensiamo che semplicemente non ne abbiate uno, e che crediate che banalmente è meglio lasciar scorrere la situazione attuale. Sgomberando avete scelto di lasciare che tutto scorra, anche se questo significa destinare quell’immobile all’abbandono, o alla trasformazione in villini di pregio o in un club sportivo privato.

 

L’analogia con l’approccio delle istituzioni alla crisi ecologica è evidente. Sappiamo che è necessario in breve tempo fare a meno del fossile, investire in modo sistematico sul trasporto pubblico, ridurre i consumi, impedire quelli di lusso responsabili di gran parte delle emissioni di gas climalteranti, difendere il bene idrico sottraendolo alle multiutility e riparare le perdite negli acquedotti, ridurre la produzione di rifiuti con una raccolta porta a porta sistematica e cogliere l’occasione per un cambio di rotta in senso redistributivo e di giustizia sociale.

Invece quello che viene fatto sono di solito proclami vuoti: si pianta qualche alberello, qualche orto urbano, si dipinge con fantasmagoriche vernice anti smog, e nel frattempo tutto prosegue come prima e peggio di prima, tra inceneritori, acquedotti-colabrodo,  finanziamenti e favoritismi di ogni tipo all’industria del fossile.

Berta Caceres, che ci ispira fin dalla nascita del collettivo, diceva che la rivoluzione doveva essere totale, non c’era mediazione possibile. Siamo entrati in via della Caffarella 13 il 6 marzo perché crediamo questo e continueremo a crederci senza mediazioni né compromessi.

Questo sgombero dimostra come abbiate deciso di porvi a difesa del capitale finanziario, sottraendovi al confronto politico e delegando alla Questura e al tribunale la “gestione” della crisi sociale ed ecologica in atto.

 

Ma sappiate che anche se ci avete sgomberate, noi continueremo a portare conflitto in questa città e ad attraversare con ancora più rabbia le mobilitazioni a livello nazionale e internazionale. 

Invitamo tuttu  a raggiungerci sotto la Regione: la rivoluzione ecologista non si sgombera.