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Giù le mani dai santuari! Presidi e mobilitazioni contro i massacri

Riceviamo e pubblichiamo il resoconto delle uccisioni avvenute la scorsa settimana al santuario per animali Cuori Liberi (Pavia) e le mobilitazioni che avranno luogo questa settimana a Pavia e Milano contro i massacri verso gli animali liberati.

La scusa da parte di polizia e celere, con la collaborazione dei veterinari, per aggredire il santuario e uccidere i maiali, è stato lo spauracchio della peste suina. Sappiamo però che gli unici interessi che vengono tutelati in questi casi sono quelli degli allevamenti intensivi dove nascono questi focolai -non pericolosi per gli animali umani-, che nascono a causa delle condizioni in cui gli animali non umani versano: turturati e stipati in spazi angusti, diventano vettore privilegiato della diffusione di epidemie. Come abbiamo già sostenuto, il problema in questi casi non sono i santuari e i rifugi per animali liberati, tutto il contrario: sono gli allevamenti intensivi e gli interessi milionari che li tengono in piedi a spese non solo degli animali, ma anche della salute umana. Ricordiamo, infatti, che in Lombardia gli allevamenti intensivi causano fino al 50% dell’inquinamento dell’aria da PM2,5, rendendo la regione una delle più inquinate d’Europa e causando un danno enorme alla salute di umani, non umani e territori.

Solidarizziamo con la rete dei santuari per le violenze subite e rilanciamo i prossimi appuntamenti nella speranza che fronti di lotta sempre più ampi possano prendere piede contro i massacri quotidiani che avvengono dentro e fuori gli allevamenti.


𝐆𝐈𝐔‌ 𝐋𝐄 𝐌𝐀𝐍𝐈 𝐃𝐀𝐈 𝐒𝐀𝐍𝐓𝐔𝐀𝐑𝐈
Ci vediamo
📍𝐌𝐄𝐑𝐂𝐎𝐋𝐄𝐃𝐈 𝟐𝟕 𝐒𝐄𝐓𝐓𝐄𝐌𝐁𝐑𝐄 𝐨𝐫𝐞 𝟖:𝟎𝟎
alla sede di ATS Pavia
via Indipendenza, 3
𝐏𝐑𝐄𝐒𝐈𝐃𝐈𝐎

📍𝐒𝐀𝐁𝐀𝐓𝐎 𝟕 𝐎𝐓𝐓𝐎𝐁𝐑𝐄 𝐨𝐫𝐞 𝟏𝟒
Milano (dettagli nei prossimi giorni)
𝐌𝐎𝐁𝐈𝐋𝐈𝐓𝐀𝐙𝐈𝐎𝐍𝐄 𝐍𝐀𝐙𝐈𝐎𝐍𝐀𝐋𝐄
da Pressenza

I maiali di Cuori Liberi: reagire al trauma politico

E’ molto difficile scrivere, praticamente a caldo, dopo quanto successo, il 20 settembre, a Sairano, in provincia di Pavia. Da due settimane pendeva sul Progetto Cuori Liberi, un santuario per animali sottratti allo sfruttamento, un’ordinanza di abbattimento dei maiali presenti; attivistə da tutto il centro-nord Italia presidiavano giorno e notte la zona. Avevamo già respinto un tentativo di eseguire l’ordinanza, il venerdì precedente, incatenandoci ai cancelli del rifugio, ma questa volta è arrivata in forze la celere, decisa a sgomberare il posto per consentire ai veterinari dell’AST di eseguire la sentenza.

Per elaborare, almeno parzialmente, questo trauma, non posso che fare uno sforzo di ricostruzione della vicenda e provare ad articolare alcune considerazioni, con la lucidità che le difficili circostanze consentiranno. Perché questa ordinanza, innanzitutto? L’antefatto è che la Peste Suina Africana (PSA) è arrivata, come si temeva da tempo, negli allevamenti intensivi, per la precisione nella zona di Zinasco, dove la concentrazione di maiali è impressionante: 2-300 mila in una porzione della provincia di Pavia, oltre 4 milioni in Lombardia (la metà dei maiali allevati in Italia). La PSA è una malattia non trasmissibile all’uomo, ma contagiosissima e letale per i suidi (maiali e cinghiali). L’Unione Europea e il nostro paese si sono mossi per contrastarla con una vera e propria dichiarazione di guerra agli animali selvatici, sguinzagliando le associazioni venatorie per decimare i cinghiali nei boschi, e arrivando a firmare decreti che prevedono l’uso dell’esercito a fianco dei cacciatori. Il tutto, evidentemente, per salvaguardare gli allevamenti intensivi, vale a dire un settore strategico che è fondato su un’atroce e costante violenza sui suoi prigionieri e su un impatto ambientale ormai innegabile. E’ la stessa zootecnia, in realtà, ad essere responsabile della diffusione della PSA nel pavese, una zona in cui i campi sono continuamente cosparsi di liquami provenienti dall’industria suinicola e in cui la movimentazione di animali macellati o destinati al macello è quotidiana.

La soluzione delle istituzioni è quella di circoscrivere i focolai emersi dall’inizio di agosto abbattendo tutti i maiali delle aziende in cui sono stati riscontrati dei casi. Finora, oltre 30mila uccisioni, con metodi che vengono resi noti grazie a un’investigazione dell’associazione Essere Animali: container stipati di maiali e usati come camere a gas, con una serie di inquietanti violazioni delle norme di biosicurezza che dovrebbero contenere i focolai. In questo contesto, in cui tutti i protocolli di emergenza si attivano per difendere un settore mortifero e deleterio per il disastro climatico, la PSA arriva, purtroppo, nell’unico luogo della zona in cui i maiali vivono senza essere ammassati e, soprattutto, non sono lì per essere sfruttati. Il rifugio “Cuori Liberi”, infatti, come tanti della Rete dei Santuari di Animali Liberi e altri ancora (come IppoasiAlma LibreGrugno Clandestino), ospita animali di varie specie sottratti al circuito dell’industria della carne, del latte e delle uova. I maiali che vivono nella struttura non sono allevati: sono oggetto di cura. Quando si ammalano, vengono curati e, nei casi estremi, accompagnati alla morte circondati dall’affetto e dalle attenzioni dei propri cari.

La realtà dei rifugi/santuari italiani aveva di recente festeggiato una vittoria non indifferente, il riconoscimento giuridico. Con questo passo fondamentale, viene riconosciuta la differenza dagli allevamenti e dalle loro logiche produttive: nei rifugi, ora, gli animali non sono più formalmente “DPA”, cioè destinati alla produzione alimentare, ma sono in qualche modo equiparati ad animali d’affezione. E, vedendo il rapporto fra gli umani che gestiscono Cuori Liberi e i non umani che ci vivono, la situazione non sembra in effetti molto diversa dalla relazione che molti umani intrattengono con i “propri” cani e gatti (o meglio: a quelle, fra le relazioni fra umani e animali domestici, che riescono ad essere più genuine e paritarie).

Ma questo riconoscimento, nel pieno di un’emergenza sanitaria, sembra passare in secondo piano. La Regione Lombardia ordina l’abbattimento di tutti gli ospiti del rifugio, sia quelli malati che quelli sani. Ci mobilitiamo subito, presidiando i dintorni giorno e notte. Ogni tentativo di negoziazione o di risoluzione legale sembra fallire. Dopo una settimana si presentano per abbattere i maiali, ma trovano le persone incatenate ai cancelli e decine di attivistə che accorrono a portare la propria solidarietà all’esterno. Passa qualche ora e se ne vanno. Tornano in forze il 20 settembre, e non si fanno problemi a sgomberare il blocco con i manganelli e i tirapugni. Diversə fermatə, diversə feritə, e soprattutto accade quello che temevamo. Il cancello, bloccato anche da alcuni trattori, viene aperto e i veterinari dell’AST possono entrare a uccidere i 9 maiali sopravvissuti alla peste, perlopiù ancora sani e senza sintomi. Uccisi praticamente davanti ai nostri occhi mentre lo stato sfoggia tutta la sua forza per domare la rabbia che sta esplodendo. E, soprattutto, uccisi davanti ai loro familiari umani. Alcuni agenti ridacchiano, mentre noi piangiamo. Una veterinaria ride. Caricano i corpi senza vita sul camion davanti alla folla. Nel frattempo, il solito repertorio di insulti sessisti alle ragazze, di offese abiliste a chi resiste. Una crudele lucidità nella gestione dello sgombero, in cui le risate colpiscono più forte dei manganelli. Pur avendo vissuto situazioni di violenza poliziesca più efferata, nessuna di esse è stata crudele come veder trascinare via delle persone a cui rimaneva solo il proprio corpo per proteggere i maiali condannati a morte.

Si canta “Bella ciao”, forse con un amaro desiderio di continuità con le storie di resistenza umana riconosciute e celebrate da una sinistra ancora troppo antropocentrica: una continuità che ci piacerebbe ma che purtroppo non c’è, se non nei nostri cuori, perché qui ci sono solo antispecistə, come sempre. Una manciata di persone un po’ matte. E’ un momento di lutto, ma anche di rabbia. Dopo “Bella ciao” è il momento di “Tout le monde déteste la police”: qui la continuità forse è più reale, ce la offrono loro su un piatto d’argento, respingendoci con i loro scudi, portando via gente a caso, impedendo all’ambulanza di passare per soccorrere una compagna, identificando e intimidendo le attiviste al pronto soccorso. Se ne vanno dopo aver violato in tutti i modi possibili le norme di biosicurezza in nome delle quali erano lì, mentre noi facciamo di tutto per non diffondere questa malattia. Piangiamo e ci abbracciamo.

E’ uno shock. Lo è stato fin dal primo momento, perché quell’ordinanza era già un precedente pericoloso. Ma lo è ancora di più ora che è stata eseguita. Possono entrare in un rifugio e uccidere chi ci vive. Solo la lotta, solo i nostri corpi possono impedirlo, e stavolta non sono bastati. Quando sarà la prossima volta? Vorrei comprendere questo trauma che ci ha paralizzatə. Non c’è solo la strage davanti ai nostri occhi. Una compagna mi dice che il nostro movimento è “naturalmente” più radicale, che “quando noi perdiamo ammazzano qualcuno”. E’ vero, ed è per questo che eravamo dispostə a tutto. Ma inizio a riflettere sul fatto che c’è dell’altro.

Si tratta di un trauma tutto liberale, uno schiaffo alle nostre convinzioni sui diritti minimi in democrazia. Nella teoria, sappiamo bene che non è come ci raccontano: lo stato liberale non garantisce davvero, sempre e comunque, delle libertà formali come quella di non avere la polizia in casa. Sappiamo che la democrazia, all’occorrenza, diventa rapidamente fascismo. Ma sotto sotto abbiamo interiorizzato che, almeno se hai il privilegio della pelle bianca e la cittadinanza italiana, ci sono dei limiti. Vederli superati in pochi giorni è uno shock. Per certi versi, uno shock simile all’inizio della pandemia quando – al di là del giudizio di merito che si vuole dare sulle misure governative – ci siamo trovatə improvvisamente l’esercito per strada e la “sacra” libertà di circolazione (sacra soltanto per i cittadini a pieno titolo, come dicevo) è stata messa da parte. Il vero volto dello stato si vede in certi casi, e come antispecistə dovremmo saperlo bene.

Ora però è dichiarato: ecco a che cosa sono disposti per salvaguardare un settore economico insostenibile. Possono entrare nelle case private e ammazzare chi ci vive. Il rifugio, infatti, è più una casa privata che un luogo pubblico. Il rifugio è una famiglia multispecie. E il paragone con gli animali domestici (“prima o poi verranno a uccidere i cani nelle case”), che finora usavamo come espediente retorico, non è più così fantasioso. Altro elemento di questo trauma politico: non ci sono luoghi sicuri. Questo avevamo sempre pensato dei rifugi/santuari: luoghi sicuri, oasi di pace per rifugiati che recano impresse nel corpo le ferite di un passato di schiavitù. Quale sarà il prossimo luogo sicuro che si rivelerà violabile? Come risponderemo?

Mi chiedo incessantemente come abbiamo risposto. Se abbiamo fatto abbastanza, quali sono i rapporti di forza, che cosa significa questa mobilitazione emergenziale. Da tempo, in effetti, il movimento antispecista produce soprattutto risposte ad emergenze. Nel farlo, le politicizza e mette a nudo le contraddizioni di un sistema produttivo antropocentrico, neocoloniale, estrattivista. Ma resta nell’emergenza. A cui risponde con una determinazione e una disperazione che il nemico non riesce del tutto a comprendere, il che è un bene. E lo fa sparigliando le carte, per certi aspetti. Cito due elementi che mi hanno colpito in questo senso. Il primo è il protagonismo politico dei rifugi/santuari, che anni fa erano, per il movimento, luoghi deputati esclusivamente alla cura degli animali salvati, magari dal “movimento che conta” (le associazioni, le campagne contro la vivisezione o le pellicce, l’Animal Liberation Front). Non ci si aspettava prese di posizione, riflessioni, intersezionalità. Tutti elementi che oggi sono costitutivi di molti rifugi. Anzi, possiamo dire che il traino, il cuore pulsante dell’antispecismo, oggi, sono i rifugi. Il secondo è la coloritura di genere della mobilitazione. Per due settimane, la resistenza all’ATS e ai suoi sgherri è stata animata principalmente da compagne, e guidata da compagne. Forse questo ha sconcertato qualche maschietto cishet, ma viene da dire che era ora, in un ambiente in cui da sempre la componente femminile è maggioritaria, ma la leadership è maschile. La risposta immediata allo shock ha travolto anche la teoria antispecista, superata dagli eventi in un batter d’occhio. E, dunque, persone che credevano di essere divise da divergenze teoriche, si sono trovate affiatate e vicine in una disperata sorellanza. Grazie a chi c’era, ciascunə a modo suo. Ognunə è arrivato fin dove poteva, come è giusto che sia, ma alcune assenze sono state amare.

Certo però il lutto va elaborato e per elaborarlo c’è bisogno di lottare, non solo di rispondere agli attacchi ma di attaccare. E c’è bisogno di complici, soprattutto nei movimenti ecologisti che in alcuni settori hanno colto l’importanza di questa battaglia. Ancora una volta, come con il covid, il capitalismo specista genera malattie, le coltiva negli ammassamenti di corpi animali dove domina il profitto, e poi non le sa gestire, non le sa contenere, se non addossando colpe e oneri a chi non ha voce in capitolo: fasce vulnerabili, poverə, lavoratorə, cinghiali, maiali. Nella zona in cui sono stati abbattuti 30mila animali, i suini sono dieci volte tanti. Nella Pianura Padana, in certe ampie zone della Lombardia e dell’Emilia Romagna la popolazione animale negli allevamenti supera quella umana. E i campi intorno al rifugio Cuori Liberi, che ho imparato a conoscere nei giorni scorsi, sono letteralmente un inferno. I liquami, gli odori, i terreni devastati dagli agenti chimici e attorniati da campi di concentramento per maiali rimandano in continuazione ai nostri sensi un odore di morte che abbiamo imparato a disconoscere di fronte alla fettina di salame del supermercato cittadino.

Questo lutto ci accompagnerà, da oggi, in ogni lotta a venire.

Pumba, Dorothy, Ursula, Bartolomeo, Carolina, Mercoledì, Crusca, Spino, Crosta: scusate se non ce l’abbiamo fatta.

Puppy Riot – attivista antispecista anonimo presente alla protesta antispecista a Sairano del 20 settembre

 

* Per aggiornamenti sulle prossime mobilitazioni relative a questa vicenda, potete seguire i canali social della Rete dei Santuari di Animali Liberi.

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IL VOSTRO LUSSO CI LASCIA A SECCO

IL VOSTRO LUSSO CI LASCIA A SECCO

Siamo oggi entrat3 come animal3 assetat3 nel campo dell’Olgiata Golf Club di Roma, per denunciare un luogo che è simbolo storico di potere, ricchezza e di abuso della risorsa idrica. Abbiamo collocato piantine nelle buche del green e costruito un orto anticapitalista per riappropriarci simbolicamente di questo pezzo di terra.
Un campo da golf come questo consuma in media 2000 metri cubi di acqua al giorno, il consumo medio di un paese di 8000 abitanti, una quantità che è sufficiente alla produzione di 2 tonnellate di grano.
I campi da golf in prossimità delle coste aggravano i processi di salinizzazione delle falde acquifere.
I pesticidi utilizzati sono un ulteriore fattore di inquinamento di falda con conseguenze sulla flora e sulla fauna. I campi da golf, infine, sottraggono terreni potenzialmente agricoli o forestali -qui infatti vi era un parco prima della costruzione-, possono interrompere naturali vie idrologiche, con rischi di inondazione e portano alla bonifica forzata di aree umide che bisognerebbe al contrario proteggere.
Spesso i campi da golf sono visti come volano di turismo elitario e pertanto a volte finanziati anche dall’erario pubblico per le strutture ricettive.
In Italia oggi ci sono 303 campi da golf come questo per un totale di circa 300.000 ettari di terra sottratti alla collettività.

Siamo oggi in questa fortezza impenetrabile e protetta da security e telecamere, chiusa al mondo per difendere il suo privilegio, perché crediamo che il costo della crisi climatica ed ecosistemica che stiamo vivendo debba pagarlo chi l’ha provocata, quel 10% della popolazione mondiale che produce il 52% delle emissioni climalteranti con il suo consumo e la sua ricchezza.
Siamo qui perché la gestione del bene idrico diventa una linea di demarcazione attraverso la quale si accentuano la disparità di classe e l’ingiustizia sociale. Disporre di acqua in quantità e qualità maggiori diviene obiettivo primario della classe dominante, mentre le ripercussioni sociali, sanitarie e umane sono sempre più gravi per chi invece di quel bene non può disporre in quantitativi minimi vitali.
La messa a profitto e l’estrazione incontrollata dell’acqua si concretizzano nel suo utilizzo in grandi quantità per alimentare grandi opere inutili e dannose -dal TAV agli inceneritori- e nel suo spreco per il lusso di campi da golf come questo. Difendere l’acqua come bene comune da ridistribuire e lottare per una sua gestione comunitaria ed ecologica diventa pertanto oggi più che mai una forma di lotta anticapitalista ed ecologista al tempo stesso.

Davanti ad un governo fascista che incondizionatamente favorisce l’elìte economica, l’alternativa per noi è la lotta ecologista.

Che terra e acqua si sollevino contro l’estrattivismo capitalista.

Non dormirete sonni tranquilli

Roma Climate Strike

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Lotte in difesa dei territori

Intervista a Les Soulèvements de la Terre

Les Soulèvements de la Terre è il nome di un movimento nato in Francia che  ha avuto recentemente una certa eco, principalmente grazie alla mobilitazione contro i mega-bacini nella regione francese di Poitou. Ha fatto breccia nel dibattito del movimento sociale anche in Italia e ha colpito l’immaginario il “primo atto” a Saint-Soline. Il “secondo atto” della mobilitazione (24-25 marzo) ha richiamato attivisti ecologisti e militanti anti-capitalisti non solo da tutta la Francia, ma da tutta Europa, dando vita ad un corteo di 30.000 persone. Ciò che ha colpito è stata la capacità dimostrata dagli organizzatori, tra i quali centrali sono i SdT, di intrecciare rivendicazioni contadine e locali con e posizionamenti generali e rivoluzionari, sensibilità ed estetica dei nuovi movimenti ecologisti e pratiche determinate della tradizione autonoma antagonista in una forma politica di movimento.

La grande mobilitazione si è scontrata con una repressione inedita, che ha provocato più di 200 feriti, tra cui alcuni molto gravi e una persona ancora tra la vita e la morte, nonché una minaccia di dissoluzione del movimento da parte del ministro dell’interno, che ha provato ad utilizzare Soulèvements de la Terre per rompere la larga alleanza politica nell’opposizione al governo, animata dalla mobilitazione contro la riforma delle pensioni e dalla denuncia delle violenze poliziesche, provando a stigmatizzare come criminale questa forma di antagonismo politico. Ma ha prodotto  anche enorme solidarietà, e l’interessante processo di nascita di decine di comitati locali a nome Les Soulèvements de la Terre in tutta Francia e non solo, che sembra aver per ora sventato l’attacco del governo.

In questo contesto, ci è sembrato interessante fare un passo indietro e provare a ricostruire la storia e la proposta politica di SdT . La nostra convinzione è che questo possa essere di grande interesse per il dibattito italiano, soprattutto per il milieu ecologista che può vedere in quest’esempio uno grande stimolo. A patto di conoscerne le specificità, che permettono di immaginare nuove vie piuttosto che trasportare acriticamente una forma che non può, ovviamente, essere linearmente tradotta.

 

Genesi, progetto politico, organizzazione

  • Vorremmo iniziare chiedendo come è nato Les Soulèvements de la Terre, e quali sono le riflessioni politiche che hanno portato alla sua genesi.

SdT è nato nel 2021 a seguito di una riflessione sviluppatasi in continuità con il lavoro di composizione politica della lotta contro l’aeroporto di Notre-Dame de Landes, nota come Zone a Défendre (ZAD), tra una parte dell’autonomia, il nascente movimento per il clima e il mondo contadino, in particolare il sindacato della Confédération Paysanne. Questi legami hanno permesso di sviluppare un’analisi che si è costituita su due livelli.

Un primo livello parte da riflessioni diffuse nella società francese. Oltre alla crescente preoccupazione per quanto riguarda il clima, simile in vari paesi europei, c’è la questione specifica dell’evoluzione sociale del mondo agricolo. Stiamo assistendo a un passaggio storico: circa la metà delle agricoltrici sono vicine all’età della pensione, e un’enorme porzione di territorio agricolo del paese cambierà presto di mano. Questo cambiamento apre la strada a due tentativi capitalistici che sono già innescati: l’artificializzazione e l’accaparramento. L’artificializzazione è l’insieme dei grandi progetti che trasformano il territorio agricolo, e spesso lo “cementificano“, facendolo diventare altro (centri commerciali, aeroporti, ecc.). L’accaparramento, invece, è la logica per la quale grandi multinazionali o imprenditori agricoli acquistano la proprietà di parti importanti di territorio agricolo, togliendola di mano ai piccoli produttori e centralizzando la produzione.

Oltre a questo piano, ce n’è un altro, più strettamente militante, che deriva da una serie di piccole conclusioni cui siamo giunte dopo aver affrontato impasse a differenti livelli nel contesto della ZAD. Nel 2018  il progetto di costruzione dell’aeroporto di Notre Dame de Lande è stato abbandonato. Si tratta indubbiamente di una vittoria del movimento, che però contemporaneamente ha sperimentato contrasto intorno all’idea che la ZAD fosse la forma fondamentale di opposizione ai grandi progetti infrastrutturali. La strategia della “moltiplicazione delle ZAD”non aveva raggiunto l’ampiezza che alcune si aspettavano. Inoltre, la controparte era diventata molto più reattiva di fronte alla creazione delle ZAD. Si sentiva il bisogno di sviluppare altre strategie. Ci si è dunque chieste se la maniera di approcciarsi alle lotte locali “ambientali” poteva essere non solo difensiva ma anche offensiva. 

Infine, abbiamo pensato che fosse necessario trovare nuovi punti di alleanza e di composizione, per agire insieme e sviluppare dei terreni di lotta che fossero più impattanti e che riuscissero davvero a costruire rapporti di forza positivi, permettendo a varie frange di movimento di uscire dall’isolamento in cui si trovavano. 

Per quanto riguarda il mondo agricolo e contadino, invece, la Confederation Paysanne ha sempre funzionato tenendo il piede in due staffe: una istituzionale e una più di movimento e popolare. Negli ultimi anni, nel mondo istituzionale i sindacati agricoli avevano perso forze, e da un punto di vista di movimento non riuscivano più a produrre lotte significative. 

Un’impasse era percepita anche dai movimenti dei più giovani nati intorno alla questione climatica, che continuavano ad attraversare ripetutamente le città con grandi marce per il clima ma che non riuscivano ad ingaggiare un rapporto di forza con il potere. C’era insomma una possibilità di convergenza tra forze anche molto diverse ma unite dalla necessità di agire. Era importante diventare “forza di composizione” che potesse andare in aiuto delle lotte locali che avessero bisogno di cambiare il rapporto di forza. Abbiamo dunque analizzato e riconsiderato il repertorio di pratiche di lotta che possediamo e che siamo in grado di mettere in campo e coordinare.

 

  • Vorremmo sapere più nello specifico come vi siete organizzati nel corso degli anni e quali pratiche avete messo in atto. In generale, come funziona SdT?

 

A seguito degli sviluppi descritti, nel gennaio 2021, qualche mese dopo l’esplosione pandemica, abbiamo chiamato una prima grande assemblea di 350 persone alla ZAD. Si partiva da un’idea modesta: non di trovare un piano ideologico comune, ma piuttosto partire dalle nostre differenze e costruire delle campagne d’azione contro degli obiettivi evidenti, come ad esempio l’industria del cemento o l’industria dei pesticidi. Il nostro obiettivo era innanzitutto costruire un piano di comprensione: un linguaggio comune a partire da problemi comuni. Abbiamo pensato fosse più facile farlo iniziando da un circolo un po’ chiuso, anche se esteso, perché nelle assemblee pubbliche con molte persone è difficile prendere decisioni e organizzarsi: per questo l’assemblea era su invito ma con uno spettro largo. In parallelo, abbiamo costruito un “groupe de suivi” che esiste ancora oggi. Si tratta di un gruppo di una cinquantina di persone che si riunisce più volte l’anno in videoconferenza. L’obiettivo di questo è di tenere insieme tutte le necessità organizzativo-amministrative di SdT: contabilità, segreteria ma anche i gruppi di referenti che vanno ad incontrare le lotte locali.

Prima di Saint-Soline e della dichiarazione dell’intenzione di dissoluzione abbiamo continuato tranquillamente su questo doppio piano: momenti di grandi assemblee chiamate “interludi”, che hanno luogo 2 o 3 volte l’anno e dove si discute con le differenti lotte locali o singole persone per costruire un calendario d’azione, e il lavoro del “groupe de suivi”, che segue le linee guida decise nelle grandi assemblee ma che ha anche potere decisionale. Quindi negli interludi si delinea un calendario, si fa lavoro di composizione politica e di pianificazione a medio-termine; in seguito, il groupe de suivi lavora nello specifico su ogni aspetto: comunicazione, segretariato, preparazione delle azioni. Proviamo ad assicurarci che ogni azione che prepariamo riesca a tenere insieme la solidarietà tra mondo contadino, movimento ecologista, lotte territoriali e movimento autonomo e che le pratiche di lotta di ciascuna si articolino insieme affinché si ottengano delle vittorie su differenti livelli, sia nelle lotte locali sia nella grandi azioni.

Fino all’autunno dello scorso anno avevamo un’esistenza pubblica ma che aveva risonanza soprattutto nel mondo militante. Dopo il primo atto di Saint-Soline e le azioni che sono state fatte in autunno abbiamo iniziato ad avere una risonanza nazionale, e molta gente proveniente da ambienti differenti ha iniziato ad avvicinarsi.

Per quanto riguarda i rapporti con il territorio, cerchiamo di rafforzare di volta in volta i legami con il mondo contadino andando a conoscere i territori con cui vogliamo lottare insieme. Quando c’è una lotta territoriale, andiamo a conoscere la storia di quei luoghi e cerchiamo di incontrare non solo i collettivi politici, ma tutte le attrici del mondo contadino provando a mettere in connessione delle realtà che prima non lo erano. Questo ci permette di arrivare su un territorio sapendo quali sono le dinamiche di accaparramento locali e quali sono le grandi aziende che partecipano al processo di “artificializzazione”. Cerchiamo insomma di identificare contro chi lottare, chi andare ad incontrare, e dunque di rinsaldare il legame tra mondo agricolo, ecologico e milieu autonomo, dal quale molte di noi provengono.  

 

Comunicazione ed estetica per un ecologismo radicale

  • Soulèvements de la terre ha avuto una indubbia risonanza nell’ultimo periodo. Oltre agli aspetti organizzativi e strategici pensiamo che uno dei vostri punti di forza sia anche la   costruzione di un’estetica e di narrazioni intorno alle lotte ecologiste. Quanto è importante un nuovo modo di raccontare le lotte per SdT?

 

A riguardo possiamo individuare due aspetti.

Il primo è la forza della narrazione. Prendiamo l’esempio della lotta contro i mega-bacini. Nel settembre 2021, era una lotta di cui nessuno aveva sentito parlare; abbiamo fatto le prime azioni con 400 persone. In un anno e mezzo siamo passati da 400 a 30.000 persone nell’ultima manifestazione. Tra gli altri fattori, abbiamo puntato molto sulla forza della narrazione che questa lotta è in grado di generare. Non solo una narrazione astratta, fatta di comunicazioni sui social media. Certo ci interessa anche quella, ma vogliamo avere soprattutto un ruolo nella realizzazione di azioni impattanti: blocchi, occupazioni; non solo manifestazioni simboliche. Quando riusciamo a farlo,  le persone che hanno partecipato si portano a casa un’esperienza forte, e producono a loro volta una narrazione. Le persone che tornano una seconda volta a una manifestazione contro i bacini sanno che non partecipano a una manifestazione simbolica, ma a una pratica politica collettiva attiva. 

Al contempo, sappiamo che questo non è sufficiente a vanificare la narrazione criminalizzante dei nostri gesti politici prodotta dalle autorità. Per questo risulta fondamentale anche svolgere un grande lavoro di comunicazione, con l’idea di assumere pubblicamente e apertamente le azioni e i gesti  che portiamo avanti. Riteniamo che il fatto che tutte le persone che partecipano agli atti condividano e legittimino anche i gesti più radicali contribuisce alla costruzione di una narrazione pubblica alternativa. 

Secondo noi la narrazione orale degli eventi, sostenuta tanto da una comunicazione mediatica incisiva che da personaggi pubblici, intellettuali e scienziate partecipa a una riappropriazione di  gesti e pratiche politiche più radicali.

 

Presente: Saint Soline e la lotta contro la riforma delle pensioni

  • L’ultimo atto svoltosi a Saint Soline è probabilmente quello che ha ricevuto maggiore risonanza. A distanza di qualche settimana, puoi farci qualche riflessione su questo momento nei suoi aspetti positivi e negativi? Come si colloca nel quadro della mobilitazione contro la riforma delle pensioni? 

 

Sul sito Lundi Matin sta uscendo un testo di bilancio critico sul 25 marzo, vi invito a leggerlo perché completerà la mia risposta

Innanzitutto bisogna considerare la costante crescita di conflittualità sociale in Francia dal 2015 al 2020, che ha visto succedersi il movimento contro la loi travaille, la lotta di Notre Dame de Lande e una serie di altre ZAD, per arrivare al movimento dei Gilets Jaune. Questa sequenza di lotte è stata contrastata da una repressione sempre più feroce. L’esplosione pandemica e la serie di confinamenti hanno interrotto questo ciclo, congelando le dinamiche di elaborazione politica e di lotta.

SdT è nato subito dopo questo periodo di confinamento. Il progetto ha colpito per la sua capacità di articolare azioni dirette e conflittuali con una dimensione “di massa”, o comunque larga, che ne supporta in pieno anche gli aspetti più radicali. Certo, è evidente che sia diventata una questione di portata nazionale anche per l’enorme siccità che abbiamo dovuto fronteggiare, che ha fatto sì che il problema dell’acqua sia ormai percepito come centrale.

La risonanza di questa lotta ha fatto sì che una parte del mondo sociale, del mondo scientifico, di associazioni ambientaliste che erano isolate e la cui voce non si sentiva molto, abbiano trovato la legittimità e lo spazio di prendere parola pubblicamente. Questo è stato cruciale, perché all’inizio il progetto di realizzazione dei bacini si presentava come “ecologico”: Il movimento popolare ha avuto la forza di determinare uno slittamento di opinioni  delle associazioni ecologiche e delle scienziate che in un primo momento avevano sottoscritto il progetto. Una dimostrazione di quanto scienza e politica non siano scindibili, e che l’ecologia non consiste nell’applicazione di una serie di indicazioni tecniche ma sia un campo di battaglia. 

Per quanto riguarda nello specifico il 25 marzo e l’ultima manifestazione a Saint-Soline, penso che un insieme di elementi legati all’organizzazione dell’evento abbia determinato un sentimento di fallimento, nonostante sia stato anche molto bello per la grande partecipazione e determinazione. Non ci aspettavamo di trovarci di fronte a un muro di gendarmerie pronto a dispiegare quel livello assurdo di violenza, con tutte le conseguenze che conosciamo – due persone tra la vita e la morte, duecento feriti, di cui vari gravi. Noi abbiamo sempre applicato la strategia di aggirare le forze dell’ordine per far sì che il conflitto non fosse frontale, e inevitabilmente asimmetrico, ma le forze dell’ordine hanno imparato dalle manifestazioni precedenti le nostre tattiche, e questo ha fatto sì che ci trovassimo di fronte a un enorme dispositivo di polizia. Una delle principali difficoltà a cui ci siamo trovate davanti, è stata quella di gestire una folla di 30.000 persone. Con questi numeri è stato difficile aggirare il dispositivo di polizia: fatalmente un certo numero di manifestanti si è assemblato tutto in un punto, e ha cercato di forzare il blocco poliziesco per provare ad andare avanti.

Insomma, non ci aspettavamo che lo Stato si assumesse la responsabilità di un tale livello di violenza, quindi siamo rimaste abbastanza scioccate. Anche per il movimento contro la riforma delle pensioni si sta mettendo in atto una repressione analoga. È evidente che siamo di fronte a un cambiamento di paradigma se si pensa alla maniera in cui lo Stato negli ultimi 15/20 anni ha gestito il conflitto. Lo stato infatti ha sempre cercato di ricostituire le condizioni di dialogo tramite un movimento di differenziazione e stigmatizzazione: da un lato poneva le persone violente che vogliono uccidere la polizia, ma dall’altro c’erano le persone che rispettano il patto repubblicano e con cui ci si può intendere. Invece oggi tanto riguardo alla questione pensioni che alla lotta contro i mega bacini, lo Stato si assume la responsabilità di una dura violenta, ma non cerca assolutamente di ricostruire le possibilità di dialogo sociale.

Con questa situazione bisogna ovviamente fare i conti, perché ogni volta che cercheremo di mettere in atto delle lotte radicali ci dovremo confrontare con questo livello di violenza, e bisogna cercare di portare avanti le nostre lotte senza che le persone si demoralizzano. Dopo il 25 noi non abbiamo avuto un attimo di pausa, ma abbiamo l‘impressione che le persone non stiano disperando: anche se sono ancora scosse da quello che hanno vissuto tanto a Saint Soline che nelle strade contro la riforma delle pensioni, nessuna sta sostenendo che bisogna smettere di lottare, o che si debba tornare a delle pratiche strettamente non violente, ma tutte sembrano prendere atto che la situazione sta cambiando e che bisogna essere più forti e determinati per fronteggiarla. Ad oggi non c’è stata nessuna dissociazione pubblica né riguardo a quello che è avvenuto a Saint-Soline né dalle forme di constatazione più dirette e radicali contro la riforma delle pensioni.

Nonostante ciò lo stato sta cercando ancora di portare avanti la narrazione della figura dei violenti, ma per ora questa strategia non sta funzionando. Noi per primi non rivendichiamo di essere un gruppo violento; diciamo che è assolutamente necessario per fronteggiare dei nemici che sono molto più grandi di noi, e che sono anche molto determinati, operare dei recuperi di pratiche dai repertori della lotta sociale. Anche il sabotaggio è una pratica sempre esistita nel mondo sindacale, non è propria solo ai gruppi radicali e rivoluzionari, e di questo se ne rendono conto in molte. Dunque, anche se stanno cercando di disegnarci come violente,  a noi poco importa dal momento che tanto le persone con cui abbiamo condiviso la lotta, che la maggior parte della popolazione, non stanno aderendo a questa narrazione. Per il momento non siamo state ancora dissolte, poi abbiamo ancora dei vecchi ricorsi da cui dobbiamo difenderci, ma in ogni caso l’onda di sostegno che si sta producendo ci fa dire che il tentativo di dissoluzione per ora non sta funzionando. Questo momento non è più difficile rispetto ad altri già passati dove sono riusciti a costruire un’immagine di noi come violente e distaccate dalla società.

 

Progetti e futuro 

  • Dopo la minaccia di scioglimento c’è stata un’immediata e larga risposta di sostegno. Per far fronte a questa minaccia SdT ha lanciato la proposta di far nascere in tutta la Francia comitati locali di sostegno al movimento. Questo appello ha avuto una grande eco immediata e decine e decine di comitati sono stati creati. Come è nata l’idea di questa strategia? Pensi che la moltiplicazione dei comitati locali cambierà molto la struttura del movimento?

 

Oggi sono in atto due dinamiche intrecciate.

Già da agosto infatti sono nati comitati locali in alcune parti della Francia. Inizialmente si sono creati soprattutto gruppi di persone legate per affinità, che partecipavano localmente alle mobilitazioni e organizzavano campagne pubbliche. Ci siamo interrogati per mesi  mesi riguardo all’ ufficializzazione e la diffusione dei comitati locali. Non essendo SdT un movimento le cui assemblee organizzative sono pubbliche, c’è stato un po’ il timore che la creazione diffusa dei comitati locali non si sposasse bene con il lavoro di composizione politica che abbiamo sin qui fatto. Inizialmente abbiamo solo accompagnato diversi tentativi di creazione di comitati che andavano avanti in posti diversi. 

Il fatto che le assemblee non fossero pubbliche rendeva difficile per le persone volenterose prendervi parte. Abbiamo quindi deciso di far partire dei cicli di formazione aperti ai comitati locali e alle persone che avessero voglia di unirsi al movimento di modo da capire il nostro gioco di composizione. Si tratta di formazioni che vertono sulla preparazione delle azioni e sulla comunicazione. A questo abbiamo affiancato un maggiore confronto internazionale, che ha preso vita nella prima formazione pubblica prima del 5 marzo. Secondo noi la questione dell’ecologia e delle risorse sono questioni che diventeranno sempre più centrali nelle lotte in Francia ma anche in Europa, per cui abbiamo sentito il bisogno di confrontare le nostre ipotesi politiche con quelle che si ponevano gruppi simili in paesi vicini.

Quello tutto questo lavoro da formiche ha preso un’accelerata: oggi stiamo assistendo a una proliferazione di comitati locali. Il primo incontro del comitato locale a Parigi ha visto più di 400 persone. Riceviamo moltissime mail da parte di persone che vogliono unirsi ai comitati. L’accelerazione e l’ufficializzazione dei comitati gioca un ruolo nella sequenza legata alla dissoluzione e nella strategia che abbiamo adottato: ci permette di dire che Sdt è diventato un movimento, e un movimento non si può sciogliere. 

Dunque la formalizzazione dei comitati ha un ruolo fondamentale ma non nasce solo come un fuoco di paglia all’interno di essa. Quello che ci immaginiamo per il futuro dei comitati locali è che operino un forte lavoro di rilancio delle azioni che portiamo avanti permettendo alle persone di organizzarsi localmente e più facilmente. Oltre a questo, dai comitati  speriamo possa arrivare un lavoro di indagine su quali sono le industrie e le società da combattere nei loro territori, e come organizzare delle azioni che si possano inserire in un calendario più ampio. Speriamo che permettano di creare un movimento che possa anche pensare sul medio o lungo termine azioni su una scala europea, tenendo insieme legami su tematiche che toccano i paesi confinanti. Per esempio durante l’ultima azione messa in atto sono venute le compagne della Val Susa, con l’aspettativa, anche, che una dinamica di lotta si rinforzi e prenda piede in Francia rispetto al TAV.

Ad oggi, quindi, ci troviamo all’intersezione di una doppia temporalità: quella molto urgente della dissoluzione, e al contempo il bisogno più lento di costruire una forza importante e che oltrepassi la frontiera francese. 

Andando al punto, per noi il problema cruciale sarà comprendere l’equilibrio tra Sdt, costituito da forze diverse ma in qualche modo centralizzate, e i comitati locali che si stanno creando. Ci sarà chiaramente un desiderio di autonomia, di decisione, e penso che tutto il lavoro sarà anche quello di riuscire a trasmettere, condividere, la maniere in cui ci si organizza. L’idea non è di creare un movimento perfettamente omogeneo, ma piuttosto che ognuna abbia curiosità e comprensione rispetto alle diverse componenti della lotta per avanzare insieme. E’ anche per questo che siamo in grado di condurre delle azioni contro i mega-bacini, dove c’è un certo tipo di lotta, ed altre in altri luoghi dove si attuano azioni magari meno forti ma che è molto importante che esistano.

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17 giugno – Maurienne – manifestazione in montagna per fermare il cantiere della Torino – Lione

Riprendiamo da Infoaut e les Soulèvements de la terre il comunicato di lancio della mobilitazione del 17 giugno in Valle Maurienne, una mobilitazione italo-francese contro il cantiere della Torino-Lione. Avremo occasione di presentare la mobilitazione domani venerdì 19 maggio al CSOA Forte Prenestino all’evento di ASSETAT3! Dance me to the end of capitalism, durante il dibattito su acqua, siccità e grandi opere.

Affinché questo progetto non veda mai la luce alla fine del tunnel!

Da oltre 30 anni, un progetto ferroviario titanico, che prevede la perforazione di 260 km di gallerie attraverso i massicci alpini, anima la fantasia megalomane e squilibrata del consorzio TELT, “Euralpin Lyon Turin Tunnel”, affiancato da decisori politici “visionari” e da gruppi come Vinci Bouygues o Eiffage. Sebbene il trasporto merci sia in stagnazione dal 1994 e la linea esistente sia utilizzata solo al 20% della sua capacità di trasporto, TELT prevede di scavare 11 gallerie, tra cui la più grande d’Europa, il “Tunnel di base” di 57 km. E tutto questo per far risparmiare ai viaggiatori e alle merci solo 1 ora e 25 minuti tra Parigi e Milano. Un modo semplice per garantire decenni di succulenti progetti di costruzione, spinti da oltre 30 miliardi di denaro pubblico.

Un programma di distruzione massiccio (Alpino) 

Oggi, nella valle della Maurienne e in Val di Susa, sono iniziati i lavori preparatori per il tunnel di base. Già decine di sorgenti si sono prosciugate o hanno perso la loro portata a causa dei lavori, le falde acquifere sono state perforate e 1500 ettari di terreno agricolo saranno resi improduttivi. Tutto questo per allestire aree di costruzione, stoccare i milioni di metri cubi di macerie scavate dalla montagna, aprire gli impianti di cementificazione e le cave in cui depositari i materiali estratti e costruire le gallerie.

Contro la Lione-Torino, una mobilitazione franco-italiana!

A circa dieci anni, in Francia, collettivi e associazioni si mobilitano per dimostrare l’assoluta insensatezza di questo progetto. Ma questa lotta va oltre le frontiere! In Italia, il movimento popolare NO TAV lotta da 30 anni per preservare la sua valle, le sue montagne e la vita che vi prospera, nonostante la violenta repressione e la drastica militarizzazione dei territori. Mobilitazioni di 70.000 persone, blocchi dei cantieri, costruzione di spazi di vita comune all’interno o in prossimità dei cantieri, il movimento italiano è riuscito a rallentare la corsa frenetica di questo progetto arcaico! Prima dell’inizio della perforazione del tunnel di base, fermiamo questo progetto, prima che l’opera e i danni causati siano irreparabili!

Incontriamoci in massa il fine settimana del 17/18 giugno nella valle della Maurienne, per una manifestazione internazionale determinata!!

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17 JIUN – MAURIENNE – MANIFESTATION MONTAGNARDE POUR L’ARRET DU CHANTIER DU LYON – TURIN

Pour que ce projet ne voit jamais la lumière au bout du Tunnel ! Depuis plus de 30 ans, un projet de chantier ferroviaire titanesque, impliquant le forage de 260 km de galeries à travers les Massifs Alpins, anime l’imaginaire mégalo et détraqué du consortium TELT, «Tunnel Euralpin Lyon Turin» allié de décisionnaires politiques «visionnaires» et de groupes tels que Vinci Bouygues ou Eiffage. Bien que le transport de marchandises stagne depuis 1994, que la ligne existante ne soit utilisée qu’à 20% de sa capacité de fret, TELT envisage de creuser 11 tunnels, dont le plus grand d’Europe, le «Tunnel de Base» de 57km. Et tout cela pour faire gagner aux voyageur.se.s et aux marchandises seulement 1h25 entre Paris et Milan. Une façon simple de s’assurer des décennies de chantiers juteux, propulsés par plus de 30 milliards d’argent public.

Un programme de destruction massif (Alpin) Aujourd’hui, dans la vallée de la Maurienne et en Val di Susa, les travaux préparatoires du tunnel de base ont débuté. Déjà, des dizaines de sources drainées par les machines ont tari ou perdu du débit, des nappes phréatiques ont été percées, 1500 hectares de terres agricoles seront artificialisées. Tout ça pour mettre en place les zones de chantiers, entreposer les millions de mètres cubes de gravats arrachés à la montagne, ouvrir les centrales à béton et les carrières nécessaires à l’extraction des matériaux et à la construction des tunnels.

Contre le Lyon-Turin, une mobilisation franco-italienne. Depuis une dizaine d’années, en France, collectifs et associations se mobilisent pour montrer le non sens absolu de ce projet. Mais cette lutte dépasse les frontières ! En Italie, le mouvement populaire NO TAV se bat depuis 30 ans pour préserver sa vallée, ses montagnes et la vie qui y foisonne et ce malgré une violente répression et une drastique militarisation des territoires. Mobilisations à 70 000 personnes, blocages de chantiers, construction de lieux de vie communs sur ou à proximité des chantiers le mouvement italien a réussi à ralentir la course effrénée de ce projet archaïque ! Avant le début du forage du tunnel de base, mettons un coup d’arrêt à ce projet, avant que travaux et dégâts engendrés ne soient irrémédiables!

Retrouvons-nous en masse le week end du 17/18 juin dans la vallée de la Maurienne, pour une manifestation internationale déterminée!

 

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ASSETAT3! Dance me to the end of capitalism

Venerdì 19 maggio 2023
dalle 18:30 in poi
L.E.A. Berta Cáceres e CSOA Forte Prenestino presentano
🌊🦈🌩 ASSETAT3! Dance me to the end of capitalism 🫧🔮🏴‍☠️
Il grido muto della terra assetata attraversa i letti vuoti dei fiumi stanchi, mentre le montagne vengono spremute del loro ultimo goccio d’acqua per mettere in moto grandi opere inutili che riempiono le tasche di fin-troppo-normali figuri alienati dalla vita.
Improvvisamente, raggi così brucianti da diventare neri sciolgono le cime innevate per riversare mari di neve liquida e bufere arrabbiate sopra distese di cemento che hanno sete ma non riescono a bere. Mentre grida umane apparentemente più comprensibili vengono soffocate dal vociare beffardo degli unici personaggi che non dovrebbero avere spazio nei nostri ecosistemi.
🪲 Dalle 18:30 vi aspettiamo per un tavolo che vuole far dialogare esperienze dislocate politicamente e territorialmente per mettere al centro l’ascolto di quello che la siccità ci vuole dire e immaginare insieme come contrastare ciò che la siccità la causa.
Un tavolo sull’acqua, la siccità e le grandi opere.
Intervegono:
– Lea Berta Cáceres
– Sollevamenti della terra italiani contro le autostrade e gli ecomostri negli Appennini
– Balia dal Collare (Rieti)
– Forum dell’Acqua
– comitati territoriali in lotta per la questione idrica
– Ecologia politica Torino: presentazione dell’estate di lotta di qua e di là delle Alpi
– NOTAV
– Presentazione del 17 Giugno in Valle Maurienne: mobilitazione italo-francese contro il TAV
🐉 A seguire daremo sfogo all’energia raccolta nella prima sudata estiva nella pista da ballo! 🐉
Suoneranno per noi:
– 𝙈𝙖𝙩𝙩𝙞𝙣𝙖𝙨𝙥𝙚𝙨𝙨𝙞
– 𝙃𝙚𝙖𝙧𝙩𝙙𝙚𝙖𝙩𝙝 – 𝘦𝘭𝘦𝘤𝘵𝘳𝘰 𝘸𝘢𝘷𝘦
– 𝙈𝙖𝙧𝙞𝙖 𝙑𝙞𝙤𝙡𝙚𝙣𝙯𝙖 -𝘚𝘺𝘯𝘵𝘩 𝘸𝘢𝘷𝘦 𝘱𝘶𝘯𝘬
– 𝙄𝙙𝙖 𝙈𝙖𝙣𝙙𝙖𝙩𝙤 – 𝘛𝘦𝘤𝘩𝘯𝘰
– 𝙏𝙤𝙩𝙚𝙢 𝙈𝙖𝙘𝙝𝙞𝙣𝙚 – 𝘛𝘦𝘬𝘯𝘰
🦎 Vi Aspettiamo dalle 18:30 al CSOA Forte Prenestino, via Delpino, Centocelle, Roma 🦎
ASSETAT3 DI ACQUA ASSETAT3 DI LOTTA ASSETAT3 DI SANGUE CONTRO IL CAPITALISMO
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INTERRUZIONE VOLONTARIA DI PATRIARCATO – ANCONA

Ieri sabato 6 maggio eravamo ad Ancona, dove alla chiamata di Non una di meno hanno risposto migliaia di persone da svariate città e realtà territoriali. Insieme abbiamo attraversato le strade per opporci alla normalizzazione di un sistema sanitario che non permette più quasi totalmente di abortire. Come rimarcato più volte dagli interventi, infatti, in gioco ci sono l’autodeterminazione dei corpi ma anche l’ennesimo rischio che questo sistema di privatizzazioni e repressione fa pagare alla nostra salute.

Perché nelle Marche? La regione a guida Fratelli d’Italia ha visto un’impennata dell’obiezione di coscienza dal 63% del 2019 all’80% nel 2022, con alcuni ospedali come quello di Jesi e Fermo dove l’obiezione di coscienza nel personale sanitario è del 100%. Questo va di pari passo con il florido proliferare dei gruppi anti-scelta come quello di Famiglia Nuova, che vedono finanziamenti regionali che toccano il milione di euro, come sostiene Non una di meno transterritoriale Marche.

Anche la pillola abortiva RU486 che permette l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) farmacologica sta vedendo forti restrizioni nell’accesso (entro le 7 settimane dal concepimento, mentre dovrebbe essere entro le 9 secondo le direttive ministeriali) e nella distribuzione (solo 4 punti ospedalieri su 11 che effettuano l’IVG garantiscono la pillola abortiva). Da qui la costrizione a dirigersi in altre regioni, come Emilia-Romagna e Lazio, rendendo ancora più palese la dimensione di classe in quell’odissea che è l’IVG oggi, mentre su tutto il territorio c’è un repentino restringimento dell’accesso al diritto all’aborto. In Molise solo una medica pratica IVG, in Abruzzo l’obiezione di coscienza sta al 90%, in Puglia 8 ospedali sono al 100% di obiezione e 16 ospedali all’80% (su 35 ospedali). Gli aborti clandestini erano tra i 10 e i 13 mila nel 2016, dato che ovviamente non tiene conto degli aborti non rilevati e dell’aumentata restrizione dell’accesso all’IVG dal 2016 ad oggi.

foto di Michele Lapini

Uno degli aspetti più problematici è la difficoltà a tenere traccia della situazione a causa del fatto che le regioni non forniscono dati specifici sulle strutture, nonostante siano tenute a farlo. Per questo motivo sono vitali progetti dal basso che facciano mappatura delle obiezioni.

Secondo l’indagine “Mai dati” condotta da Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina, e di Sonia Montegiove, informatica e giornalista, sono 31 (24 ospedali e 7 consultori) le strutture sanitarie in Italia con il 100% di obiettori di coscienza per medici ginecologi, anestesisti, infermieri o OSS. Quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%.

L’attacco coordinato delle destre all’autodeterminazione dei corpi passa dai finanziamenti, in aumento verso le cooperative sociali anti-scelta, che hanno sempre più accesso agli ospedali e consultori, alla narrazione che viene fatta dalla politica istituzionale che, oltre a diffondere informazioni consapevolmente false, fa predicamenti religiosi che santificano il corpo del feto e mostrificano invece la donna* che vuole interrompere la gravidanza.

In un contesto di crisi ecologica come quello in cui ci troviamo, la gestione libera e consapevole della gestazione e della natalità è uno strumento fondamentale (ormai costretto dalle destre ad essere anche sovversivo) per ripensare un abitare ecologico del pianeta. Combattere il mito della crescita, tanto in economia quanto nella retorica anti-scelta fascista della natalità è quanto mai necessario mentre gli stati nazione utilizzano la guerra come strumento di riassestamento neoliberale.

Reclamare il diritto di accesso alla salute in un sistema sanitario a pezzi è fondamentale, ma anche riappropriarci della gestione dei nostri corpi è un orizzonte che dobbiamo tenere in considerazione in un presente e futuro precarietà e repressione. Si dice che conosciamo più loghi di marchi che specie di piante, ma questo vale anche per i nostri corpi: conosciamo più vestiti firmati che la realtà dei nostri corpi, ormai malati e lontani da noi. Per questo motivo l’IVG e l’autodeterminazione non riguardano solo l’accesso alla salute, ma richiedono un profondo ripensamento del contesto ecologico in cui ci troviamo e pratiche di riappropriazione dei nostri corpi ed ecosistemi, che non sono mai separabili.

Dobbiamo pretendere l’accesso all’IVG e alla salute, ma anche imparare ad abortire, a prenderci cura dei nostri corpi e ad ascoltarli. Dobbiamo imparare a de-normalizzare la delega della nostra salute a cui ci costringono, che ha reso la salute quel circolo vizioso per cui ci costringono ad ammalarci per poi negarci il diritto alle cure delle malattie che loro stessi hanno causato.

Abortiamo e non ci pentiamo!

 

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29 aprile: passeggiata transfemminista a Spinaceto

Ricondividiamo da SoReMa – sovversiva rete manifesta l’appuntamento per una passeggiata transfemminista il 29 aprile dalle ore 10:00 a Spinaceto!

PASSEGGIATA TRANSFEMMINISTA SEPARATA A SPINACETO!!!

Partenza ore 10:00 dalla Piazzetta Rossa.

Sorema è una Sovversiva Rete Manifesta transfemminista nata dalla nostra necessità ed esigenza di attraversare il vuoto che circonda i nostri quartieri di periferia. Chi viene dal margine sa benissimo cosa significhi essere relegatə in quartieri dormitorio, nei quali non viene mai progettato né tantomeno pensato un modo di “stare”differente, che non sia limitato al riposo dopo la fatica del lavoro o della scuola. In quanto donne e soggettività dissidenti ci riprendiamo i nostri spazi senza chiedere il permesso, portiamo avanti la nostra lotta ogni giorno, cercando di rendere più vivibili i luoghi che abitiamo. Ma questo non ci basta!

Vogliamo sentirci liber3 di attraversare le strade dei nostri quartieri a qualsiasi ora del giorno e della notte, anche se da sol3 o in posti isolati, o con vestiti considerati indecorosi. Siamo stanch3 di subire costantemente commenti, catcalling, sguardi indesiderati, microaggressioni e minacce da chi crede che lo spazio gli appartenga; ci rende furios3 assistere alla violenza agita sui nostri corpi di donne, lesbiche, froce, persone trans e non binarie.
Non vogliamo limitare le nostre pratiche di lotta alle situazioni emergenziali, non vogliamo inseguire fatti di cronaca e trovarci sempre a reagire più che ad agire, vogliamo che, attraverso la sorellanza, qualsiasi soggettività possa affermarsi e autodeterminarsi.

La nostra rabbia invade le strade di Spinaceto perché a partire dal margine della città, che molt3 di noi abitano e attraversano, vogliamo costruire i nostri spazi di lotta, risignificare i luoghi che leghiamo a episodi di violenza o discriminazione, aprire nuovi spazi di possibilità e dare priorità alle relazioni e ai legami che costruiamo ogni giorno.
Pretendiamo di attraversare strade libere, in cui costruire e condividere spazi accoglienti per le soggettività queer e dissidenti, in cui combattere la violenza machista, patriarcale e razzista che colpisce donne, lesbiche, persone trans e non binarie, sex worker, persone razzializzate, tutti quei corpi e quelle vite che si rifiutano di aderire alla norma che ci viene imposta. Rifiutiamo le retoriche securitarie e repressive, perché sappiamo che fanno parte del problema: polizia, tribunali e carceri sono alcuni tra gli strumenti che vengono usati per zittirci, reprimerci, in alcuni casi ucciderci e sappiamo bene che “gli strumenti del padrone non smantelleranno mai la casa del padrone”!

Questo è solo l’inizio, non siamo di passaggio: abbiamo intenzione di costruire qualcosa di permanente, di lasciare tracce che tutte le soggettività sulle quali ricade la violenza patriarcale possano seguire, per uscire dall’isolamento a cui veniamo costrett3, intessendo relazioni affettive e politiche che diano valore alle nostre lotte e alle nostre esperienze.

Abbiamo scelto, come pratica di autodeterminazione, che questa passeggiata transfemminista sia separata (no maschi cis). Questo rappresenta per noi un passaggio fondamentale per riapropriarci degli spazi che ci sono quotidianamente sottratti, che ci permette di costruire pratiche di impoteramento collettivo senza perdere di vista la nostra complessità.

Non è una maggiore illuminazione delle strade, né la presenza costante delle guardie, a renderci liber3 in strada: abbiamo la potenza della sorellanza dalla nostra parte, ci difendono le nostr3 compagn3, ci autodeterminiamo insieme.

Le strade sono nostre, riprendiamocele!

 

 

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Roma Est: LA VERITÀ È DI CHI RESISTE

Da 25 Aprile Roma Est:

CORTEO e Festa di liberazione di Roma EST 25 aprile Roma Est: LA VERITÀ È DI CHI RESISTE

Il 25 aprile 2023 Roma Est festeggerà – per il sesto anno consecutivo- la liberazione dal nazifascismo nei quartieri che hanno fatto la storia della Resistenza: Pigneto, Centocelle, Villa Gordiani, Quarticciolo.

La giornata inizierà alle 10.00 con la deposizione di un fiore al partigiano a Piazza delle Camelie, Centocelle. Il corteo partirà alle 10.30 e attraverserà le strade di Centocelle per concludersi al Quarticciolo, dove la giornata continuerà al parchetto intitolato al partigiano Modesto di Veglia con un pranzo, dibattiti e concerti. Il programma pomeridiano conterà sulla presenza di (Z)ZeroCalcare, Il Muro del Canto, Giancane, Gli Ultimi, Pegs, Whtrsh aka Banana, Leo Fulcro. Hosted by Lucci. Alla fine della giornata verrà proiettato il film “Margini” di Niccolò Falsetti e Francesco Turbanti.

“La verità è di chi resiste” è lo slogan scelto per questo 25 aprile che, per la prima volta dalla sua istituzione come giornata della liberazione dal nazifascismo, vede al governo una compagine governativa che ha nel fascismo storico la sua origine e che si conferma tale nei programmi e nelle pratiche politiche.

L’intolleranza nei confronti delle diversità, delle lotte di liberazione, delle migrazioni, la difesa di principi autoritari, sicuritari, discriminatori e il revisionismo storico nei confronti di fatti incontrovertibilmente connotati da una matrice ideologica antifascista, rendono necessaria una ancora più forte e chiara presa di posizione di tutti gli attori sociali, culturali, politici che contribuiscono alla costruzione della memoria storica di questo paese.

La giornata di celebrazione della liberazione dal nazifascismo e della resistenza partigiana è promossa da realtà sociali di Roma Est che quotidianamente nei propri territori praticano la resistenza al capitalismo predatorio, attraverso forme di solidarietà e di mutuo appoggio che hanno permesso di costruire una risposta autonoma ai bisogni dei territori che vanno dall’abitare, alla salute, allo sport, all’educazione, al cibo.

La Resistenza come valore da continuare a difendere e praticare per la costruzione di un mondo più giusto, in continuità e coerenza con gli ideali che 80 anni fa hanno spinto i partigiani e le partigiane a combattere sfidando la paura della guerra, delle rappresaglie, dello squadrismo e del pensiero unico.

La Storia della Resistenza come Verità da difendere nella memoria e da praticare nella vita quotidiana delle comunità che resistono nei quartieri.

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Comunicato stampa 6m: manifestazione nazionale “Interruzione volontaria di patriarcato”

In vista della chiamata nazionale del 6 maggio ad Ancona per il diritto all’aborto, ricondividiamo il comunicato stampa di Non una di meno e invitiamo tuttə a partecipare alla chiamata con i bus in partenza da tutta Italia. Da Roma partiremo tuttə insieme il 6 maggio da Piazzale del Verano alle h.7:30, per prenotare un posto compila questo form.

da Non una di meno

La rete transfemminista NON UNA DI MENO torna in piazza dopo la giornata di lotta dell’8 marzo, convocando una manifestazione nazionale ad Ancona per l’aborto libero, sicuro, gratuito, per tutt3, con concentramento in Largo Fiera della Pesca il 6 maggio alle ore 14:30 

La presidente del consiglio Giorgia Meloni, a seguito del suo insediamento, ha rassicurato furbamente l’opinione pubblica di non avere intenzione di modificare la legge che garantisce l’accesso all’aborto. Il suo partito, infatti, sa benissimo che per mettere in discussione il diritto ad abortire non serve modificare la legge 194/78, basta muoversi tra i suoi rivoli e le sue lacune, come si è fatto da anni a livello regionale.

Sono proprio le regioni laboratorio dell’attuale compagine governativa come Marche, Umbria, Abruzzo, Piemonte, Veneto ad aver messo in campo politiche di drastica riduzione dell’accesso all’IVG, tolleranza dell’obiezione di coscienza di struttura, ingresso e finanziamento delle associazioni anti-abortiste nei consultori pubblici e smantellamento dei consultori stessi.

È tempo di mobilitarci insieme con un grande corteo nazionale, perchè il diritto all’aborto non sia garantito solo su carta! Non Una di Meno sarà ad Ancona, dove l’aborto non è più garantito, perché la situazione in questo territorio è un simbolo. Nonostante anni di denunce, quando si prova a prenotare un’interruzione volontaria di gravidanza nelle Marche, viene consigliato di spostarsi direttamente in un’altra regione. Non si tratta di un caso isolato: in Molise c’è una sola medica non obiettrice di coscienza in tutta la Regione, in Abruzzo la percentuale di obiezione supera il 90%, in Campania si pratica IVG in meno di ¼ dei reparti di ginecologia, in Calabria si può abortire in meno del 50% degli ospedali.

È il nostro movimento, quindi, a volere che la legge cambi, ma a partire dai nostri bisogni e da alcune rivendicazioni chiave: l’abolizione dei 7 giorni di riflessione dopo aver ottenuto il certificato IVG, l’abolizione dell’articolo 9 che disciplina l’obiezione di coscienza, la somministrazione della RU486 in tutti gli ospedali e consultori, l’estensione del numero di settimane per accedere all’IVG, la sperimentazione dell’aborto telemedico in piena sicurezza, la formazione di tutto il personale perché sia garantita accoglienza adeguata a tutte le persone che decidono di abortire a prescindere dal loro genere.

Lo slogan della manifestazione è “Interruzione volontaria di patriarcato”, cioè la fine di un sistema che opprime le donne e le persone LGBTQIA+. La visione del Governo supporta un’idea di patria fondata sul mito della famiglia borghese, patriarcale, bianca, con rigidi ruoli di genere, che non rappresenta in nulla le vite di tantissime persone in questo Paese, e si inserisce in una visione politica che attacca l’autodeterminazione di tutte le soggettività marginalizzate. Mentre la maggioranza, in linea con i suoi alleati internazionali, da una parte promuove politiche restrittive sull’aborto e presenta in Parlamento proposte di legge per il riconoscimento della personalità giuridica dell’embrione come quelle Gasparri e Menia, dall’altra attacca la genitorialità LGBTQIA+ e razzializzata, promuove la guerra alle persone più povere, è mandante politico delle stragi in mare, consente il condono fiscale ai più ricchi, è complice del disastro ambientale, e ostacola il salario minimo.

Non Una di Meno intende costruire questa giornata in rete con quella opposizione sociale che mette al centro la connessione tra diritti sociali e diritti civili, smascherando, a partire dal vissuto di tutte le persone che saranno in piazza ad Ancona, chi li narra ancora come divisi.

NON UNA DI MENO

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Siccità

Vostri i profitti. Nostra la sete

A poche ore dall’assemblea dei soci di Acea è stata sanzionata la sede di piazzale Ostiense, dove sono comparsi messaggi e immagini che contrappongono la siccità, che è sotto gli occhi di tutti, e i profitti di Acea SpA, che invece sono nelle tasche di pochi.

Anche quest’anno l’assemblea ha tra i principali punti di discussione l’approvazione dei dividendi da distribuire tra gli azionisti. Acea ha chiuso il 2022 con un utile netto di 279,73 milioni di euro. Dividendi che in questi anni sono stati costantemente in crescita, mentre l’acqua è sempre più scarsa, a causa dei cambiamenti climatici, ma anche di una gestione unicamente votata al profitto. E non potrebbe essere diversamente, dato che Acea è una società quotata in borsa, che opera con logiche di mercato che non possono funzionare quando si tratta di garantire un diritto e tutelare un bene comune come l’acqua. Basti pensare che Roma continua ad essere una delle città con un tasso di perdita lineare tra i più alti d’Italia, per perdite stimate sulla rete di Acea Ato2 (Roma e Provincia), che continuano a sfiorare il 40%, con picchi del 70% in provincia di Frosinone dove la gestione è affidata ad un’altra controlla da Acea (Acea Ato5).

Mentre i soci di Acea, comune di Roma in primis, si occupano di grandi opere tossiche come il “nuovo” inceneritore, riparare le perdite, investire per il risparmio idrico e garantire a tuttə l’accesso all’acqua dovrebbero essere gli unici temi in discussione in questa fase di crisi ecologica e sociale ormai sistemica. Nulla a che vedere con progetti costosi e insensati, come i potabilizzatori dell’acqua del Tevere, o i desalinizzatori che tanto piacciono al “socio” Mekorot, compagnia israeliana che da anni priva il popolo palestinese del diritto all’acqua.

Così come non è il raddoppio dell’acquedotto del Peschiera la soluzione: un’opera faraonica, che metterà ancora più a rischio le sorgenti più grandi d’Europa e i fiumi Farfa e Velino, in un’ottica estrattivista che non solo sacrifica interi territori, ma che è destinata a condurci in un futuro con meno acqua e meno diritti.

La strada è stata già indicata dai referendum del 2011: acqua pubblica e zero profitti su un bene comune fondamentale per la vita degli ecosistemi umani e non umani.

Quella è la strada che vogliamo continuare a percorrere, sbarrando le altre ogni volta che sarà necessario.

Vostri i profitti. Nostra la sete.