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A fianco degli scioperi nella logistica – contro i licenziamenti di Leroy Merlin

Oggi eravamo a fianco dell3 lavorator3 del S.I.Cobas che da Piacenza si sono mobilitat3 per fermare, fin dalla prima mattina, la circolazione dei camion a Leroy Merlin di Colleferro. E’ da alcuni giorni, infatti, che l’azienda ha deciso di lasciare a casa, da un momento all’altro e indipendentemente dal contratto, 500 lavorator3 che appartengono per lo più a famiglie numerose e monoreddito, mettendo quindi a rischio la vita di migliaia di persone.

Abbiamo più volte affrontato il tema della logistica, settore in espansione da vent’anni in Italia dove lo schema appare sempre lo stesso: aziende straniere multinazionali arrivano in luoghi dove possono sfruttare, da un lato, manodopera migrante (che è la stragrande maggioranza della composizione facchina nella logistica) spesso ridotta in una condizione pressoché totale di caporalato, come accadeva nel piacentino fino alla ribalta del S.I.Cobas quindici anni fa.

Dall’altro, a fronte di istituzioni locali completamente incapaci di tutelare il paesaggio, queste multinazionali possono profittare di una “natura a buon mercato” dove costruire magazzini a perdita d’occhio e infrastrutture dedicate alla movimentazione di merci su gomma, che hanno completamente sfigurato intere aree dello stivale, come sta succedendo nel Lazio, a Colleferro, e come è successo in Pianura Padana, uno dei territori più inquinati d’Europa (dove non a caso è scoppiato il primo focolaio di COVID-19) e con tra i più alti casi di tumore agli organi di filtro, dove si accumulano cioè le tossine assorbite dall’ambiente.

Non solo queste aziende possono sfruttare l’ambiente senza l’obbligo di ridistribuire le ricchezze dal punto di vista fiscale (facendo capo per il fisco ad altri Stati), ma possono anche scaricare senza restrizioni le cosiddette “esternalità negative” (inquinamento dell’aria, cementificazione del suolo, inquinamento delle acque, ecc.), che fanno pagare all’ambiente e alle popolazioni locali il peso del fallimento totale di questo modello di sviluppo, che crea vere e proprie zone di sacrificio, come già era Colleferro e come sta diventando il territorio piacentino.

Spesso una scusa che le istituzioni locali e le aziende usano per legittimare la devastazione della salute umana e ambientale è quella della creazione di posti di lavoro, argomentazione che crea degli aut-aut evidenti come scegliere tra morire di fame o morire di malattia. Non solo: nel momento in cui, attraverso la sindacalizzazione e i processi di lotta dell3 lavorator3 si riescono ad ottenere miglioramenti delle condizioni di lavoro e aumenti salariali e, di conseguenza, le aziende non riescono più a basare i loro profitti miliardari sulla schiavizzazione di corpi e territori, decidono bene di attuare licenziamenti di massa per spostarsi in nuovi territori da ipersfruttare.

E’ infatti quello che è successo nel magazzino di Leroy Merlin a Piacenza, dove l’azienda francese ha provato ad attribuire la chiusura del magazzino di Castel San Giovanni (PC) al disservizio dell3 lavorator3. Questa affermazione è stata presto sfatata: si tratta infatti di uno dei magazzini più efficienti al mondo, dopo quello in Francia e in Canada. Sul quotidiano locale di Piacenza, un dirigente ha di seguito affermato che la chiusura è dovuta a un fallito investimento di 24 milioni di euro per la costruzione di una pick tower (un grande macchinario alto decine di metri utilizzato per lo smistamento dei pezzi) che però, ancora dopo anni, non funziona in quanto Leroy Merlin non si è ancora dotata di un software per utilizzarla. Per questo motivo, dunque, sono avvenuti i licenziamenti e la merce è stata direzionata quindi nell’unico altro magazzino in Italia, ovvero quello a Colleferro.

 

In relazione a questo l’azienda ha provato ad aprire altri tre magazzini nel Nord Italia per rimpiazzare quello di Piacenza: il sindacato ha dunque chiesto, in questi magazzini, buste paga di livello 4, corrispondenti alla mansione svolta nel magazzino di Piacenza, mansione che all’azienda veniva a costare 2200 euro al mese, laddove nei nuovi magazzini costa 1100 euro, ovvero la metà, permettendo all’azienda di risparmiare 7 milioni e 700 mila euro. Se, quindi, Leroy Merlin ha dichiarato 24 mln di perdita, ovvero i soldi del cattivo investimento della pick tower, appare dunque chiaro che in tre anni l’azienda vorrebbe rientrare del suo errato investimento scaricandone interamente i costi sulla mano d’opera.

Questo è solo un esempio di come un settore in espansione come quello della logistica abbia un impatto devastante sia sulle vite dell3 lavorator3 che sulla salute dei territori, definendo una unione negli interessi delle parti sfruttate che andrebbe quanto più colta da un punto di vista ecologista. Se, infatti, gli appelli alle istituzioni locali si rivelano pressoché inutili, in quanto spesso colluse con gli interessi delle multinazionali, l’unico modo per fermare e rallentare la crescita esponenziale di un settore così devastante ha preso forza dall’interno: i cicli di lotte nella logistica che hanno creato un fronte di conflitto così importante praticano, infatti, un blocco materiale della circolazione delle merci che ha saputo più volte creare perdite miliardarie alle aziende, colpendole nel vivo della loro macchina di sfruttamento e allontanando nuovi investimenti che sfruttano la “natura a basso costo” e creano territori inquinati.

Sostenendo dunque le lotte dell3 lavoratric3, per lo più migranti, della logistica, non solo si pratica quella intersezionalità tra lotta di classe e antirazzismo che contrasta la schiavizzazione e il ricatto dei corpi non bianchi, ma si pratica anche una intersezionalità con le istanze ecologiste che necessitano di ripartire dai territori sfruttati per impedirne concretamente la continua devastazione. Per questo motivo è utile sostenere i prossimi scioperi e invitiamo tutte le realtà che vorranno a distribuire il volantino che alleghiamo in tutti i negozi Leroy Merlin presenti nei territori.