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Contro 41bis e ogni forma di tortura, a fianco dell3 compagn3 in sciopero della fame

12 novembre, ore 15:00 a piazza Gioacchino Belli a Roma, manifestazione contro il 41bis e l’ergastolo ostativo, a fianco dell3 compagn3 in sciopero della fame nelle carceri.

Dal 20 ottobre un compagno anarchico, Alfredo Cospito, ha iniziato uno sciopero della fame contro il regime di 41bis a cui è sottoposto nel carcere di Sassari. Alfredo, condannato a 20 anni di reclusione a seguito del processo Scripta Manent, reo di aver scritto dei comunicati, viene sottoposto al 41bis per la colpa di aver continuato a mantenere rapporti epistolari dal carcere con il movimento anarchico. Il 20 ottobre, durante l’udienza del processo, collegato da remoto, Alfredo ha tentato di portare avanti, senza riuscirci, le dichiarazioni di apertura dello sciopero della fame, a cui il giudice ha risposto con un semplice gesto della mano: mettendolo in muto.

Qualche giorno più tardi anche Anna, compagna anch’essa condannata nell’ambito dello stesso processo a 17 anni di reclusione, ha iniziato lo sciopero della fame contro 41bis ed ergastolo ostativo. Il 41bis è un regime di detenzione che attua forme sofisticate di tortura: deprivazione sensoriale, isolamento continuo, spegnimento di qualsiasi lucidità mentale attraverso l’interruzione dell’interazione umana ma anche di forme di lettura e scrittura.

In tutto il paese si sono verificate dimostrazioni di solidarietà e striscionate a fianco di Alfredo e Anna, ma anche Juan e Ivan, compagni anarchici anch’essi in sciopero della fame contro il 41bis, mentre anche loro subiscono pene spropositate che dimostrano, ancora una volta, l’accanimento dello stato contro i simboli e l’immaginario di chi fa appello a forme di liberazione radicali e senza compromessi.

In questo momento è in corso la Cop27 in Egitto e le grandi organizzazioni internazionali, giustamente, rivendicano che non ci può essere alcuna forma di ecologia che tolleri regimi che non rispettano i diritti umani, in sostegno agli scioperi della fame e della sete degli attivisti egiziani come Alaa Abd El Fattah. Proprio coerentemente con questa posizione, è necessario esprimersi anche e soprattutto riguardo alle forme di tortura che avvengono tutti i giorni anche sotto il proprio naso.

Esprimiamo solidarietà all3 compagn3 in sciopero della fame: il 41bis e le carceri sono tortura!

Condividiamo la lettera scritta da Anna Beniamino in sciopero della fame in carcere:

Il 20 ottobre Alfredo Cospito, nel carcere di Bancali (SS), ha iniziato uno sciopero della fame ad oltranza contro il regime 41 bis e l’ergastolo ostativo. Il regime 41 bis o.p. gli è stato riservato dal maggio di quest’anno, reo di mantenere, dalle sezioni di Alta Sicurezza dove si trovava da anni rinchiuso, rapporti epistolari ed attività editoriale con il movimento anarchico, attraverso scritti pubblici ed interventi.
L’ergastolo ostativo rischia di essere lo sbocco del rinvio in appello – operato dalla sentenza di cassazione del luglio 2022 del processo Scripta Manent – per il ricalcolo della condanna approdata alla qualifica di 285 c.p., “strage politica”, per un duplice attentato alla scuola allievi carabinieri di Fossano, a firma FAI-RAT. La condanna per 285 c.p. costituisce la chiave di volta di un’architettura accusatoria che ha sancito l’esistenza di un’ “associazione eversiva con finalità di terrorismo” (costituita da soli 3 promotori e con un’esistenza a singhiozzo, per ovviare alle contraddizioni dovute agli esiti di precedenti processi) e l’attività di “istigazione” per blog e giornali anarchici editi dai condannati nel corso degli scorsi 20 anni.
Insomma una sentenza-monstre dove si è capi/factotum di un’ “associazione” dai contorni incerti, nonché istigatori e rei di una “strage” mai avvenuta e soprattutto mai difesa in quanto tale. Ovvero, come è capitato ripetutamente di affermare in tempi non sospetti, la violenza rivoluzionaria è difesa dagli anarchici, e da me tra questi, lo stragismo no.
Ciò che le carte dei tribunali e le direttive dei Servizi e degli apparati di prevenzione chiamano variamente eversione interna o terrorismo e che viene racchiuso in una serie di reati (associazione sovversiva, strage, devastazione e saccheggio…) attinti pari pari dal Codice Rocco ancora in auge, sono in realtà tasselli della tensione rivoluzionaria e della ricerca di libertà e giustizia sociale. Che quest’ultima e la giustizia somministrata dai tribunali siano mondi antitetici non è una novità per chiunque abbia un minimo di conoscenza delle vicende storiche e politiche dei movimenti, delle idee e delle pratiche refrattarie allo status quo: più è grande e complessa l’accusa, più è difficile riportare gli eventi sul piano della realtà. Su questa falsariga ci si ritrova da imputati in processi dalle “verità” farsesche, dove è l’identità politica, non i fatti, a costruire il reato, a seppellirti vivo.
Il 41 bis è la forma più raffinata di annientamento psico-fisico, tra le varie gradazioni offerte dal carcere. Una tortura in guanti bianchi basata sulla deprivazione fisica, sensoriale e intellettiva, sulla rescissione dei vincoli amicali e sentimentali: un’ora di colloquio al mese, con vetro, con i famigliari spesso costretti a viaggi di centinaia di chilometri per effettuarli, con parenti e affetti spesso visti come sodali stessi dell’ “associazione”, con tutto quello che questo comporta in termini di allontanamenti; pesantissime limitazioni di studio e di lettura, che sole potrebbero cautelare l’individuo dallo “spegnimento” cerebrale, con una lucidità già messa alla prova dalla mancanza di confronto e socializzazione minima, in un quasi-isolamento che si prolunga per anni, spesso a vita; quotidiani censurati in toto o parzialmente, 10 canali televisivi e psicofarmaci come possibili “palliativi” a perfezionare il trattamento. D’altra parte tv e psicofarmaci sono le colonne portanti del mantenimento del controllo carcerario nella sua interezza: sezioni comuni sovraffollate, tonnare d’anime dove medicalizzazione e infantilizzazione dell’individuo regnano sovrane.
Al 41 bis, per la sua manifesta durezza, volta a spezzare l’individuo, gli stessi legislatori avevano conferito una durata limitata nel tempo a 4 anni (anche il waterboarding ammette pause… pena l’annegamento del malcapitato!) che poi, con un procedimento burocratico tipico della ferocia democratica a bassa intensità, di proroga in proroga, da emergenziale è diventato ordinario. Santificato dall’incultura forcaiola e manettara, il “carcere duro” è il feticcio/spauracchio di una società che si vorrebbe, secondo la vulgata mediatica, sempre più spaventata dalle “emergenze” e bisognosa di “sicurezza”, da placare con un progressivo e plateale inasprimento delle pene e ingigantimento della narrazione della portata dei reati. Il feticcio della “sicurezza” è usato per distogliere l’attenzione di una società al collasso politico, economico, sociale.
Ho condiviso anni di vita, idee, discussioni, rabbia, risate e amore per la libertà con un compagno anarchico, con gli anarchici… non saranno i regimi differenziati di una galera o le infamie di un processo certo capaci di offuscarli.
Per questi motivi, perché solidarietà e giustizia sono un cadavere in bocca ai legislatori, un fiore tra i denti di individui liberi. Perché per chi ama la vita, reagire quando viene trasformata in sopravvivenza è un atto dovuto, da lunedì 7 novembre inizio uno sciopero della fame.
Contro il 41 bis.
In solidarietà ad Alfredo in sciopero della fame dal 20 ottobre, a Juan dal carcere di Terni dal 25 ottobre e ad Ivan dal carcere di Villepinte in Francia dal 27 ottobre, che hanno intrapreso uno sciopero per gli stessi motivi.
Con amore e rispetto per tutte le compagne ed i compagni che hanno lottato, lottano e lotteranno per gli utopici sentieri della libertà e della negazione dell’autorità, senza vendere i loro sogni al miglior offerente.
Anna Beniamino

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Mobilitazioni vincenti: No Bassines a Sainte-Soline

A seguito delle mobilitazioni degli scorsi giorni contro i grandi bacini di stoccaggio idrico in Francia, che hanno visto una occupazione di massa del cantiere del bacino di Sainte-Soline da parte di più di 7mila persone, abbiamo tradotto e riassunto alcuni contributi pubblicati da Les soulèvements de la terre, per facilitare la circolazione di informazioni e il sostegno al movimento No Bassines. Buona lettura!

Con l’accelerazione del degrado delle condizioni di vita sulla Terra, un numero sempre maggiore di noi sente il peso della confusione, della rabbia e della mancanza di orizzonti. Cosa possiamo aspettarci dall’ennesimo catalogo di promesse elettorali del COP o della primavera? Solo un cambiamento radicale – una rivolta – potrebbe fermare il riscaldamento globale e la sesta estinzione di massa delle specie già in corso. In sostanza, sappiamo che oggi non c’è altro modo che mettere in campo tutte le nostre forze per fermare il disastro in corso e abbattere il sistema economico divoratore che lo sta generando.

In 18 mesi e di fronte all’assoluta urgenza che lo stato del mondo testimonia, abbiamo – a centinaia o migliaia – occupato e coltivato terre minacciate, bloccato e disarmato industrie del cemento o biotecnologiche, assaltato e smantellato mega-dighe, ostacolato cantieri e partecipato a respingere piani molto concreti di sviluppo del mercato. Siamo a un primo stadio della costruzione di un fronte di resistenza al disastro e della ripresa dei nostri mezzi di sussistenza.

A Sainte-Soline, nel Marais Poitevin, più di 8.000 oppositori delle mega-piscine si sono riuniti prima di riuscire a entrare nel cantiere del laghetti più grande del mondo, nonostante i pesanti divieti e una presenza di polizia senza precedenti. Il giorno successivo hanno scollegato una delle reti di riempimento del bacino e hanno costruito una torre di guardia prima di ulteriori azioni.

Su appello di 150 associazioni e collettivi (Bassines Non Merci, Soulèvements de la Terre, la Confédération Paysanne, la CGT, ATTAC, SUD Solidaires…), più di 8000 persone si sono riunite questo fine settimana per fermare la costruzione delle mega-bacine di Sainte-Soline, iniziata all’inizio di ottobre. Giovedì 200 personalità hanno denunciato in una tribuna il divieto di manifestare e hanno dato il loro sostegno al campo anti-bacino. Gli anti-piscine si erano accampati all’inizio della settimana nel cuore della zona vietata, in un campo prestato da un ex agricoltore irriguo che ora critica il modello delle piscine.

Agricoltori, residenti, naturalisti, funzionari eletti e attivisti per il clima hanno poi marciato insieme verso il cantiere, nonostante una presenza di polizia senza precedenti: 1.700 agenti di polizia e 6 elicotteri sono stati mobilitati per ostacolare i manifestanti, mentre da lunedì sono state emesse ordinanze di divieto di manifestazione e di circolazione per dissuadere i partecipanti.

Nonostante gli scontri e i feriti, le forze dell’ordine non hanno avuto successo: divisi in 3 cortei, bianco, rosso e verde, l3 oppositor3 sono riuscit3, nei rispettivi percorsi, a scavalcare e superare in successione le numerose linee di polizia e i blocchi stradali. La squadra rossa, vittoriosa, è riuscita a entrare nel cantiere e a piantare la sua bandiera rimuovendo i cancelli e usandoli come barricate per avanzare. Questa mobilitazione è la quarta di una serie di manifestazioni e azioni dell’ultimo anno che presuppongono collettivamente atti di disobbedienza e disarmo delle infrastrutture ecocide.

I macchinari da costruzione sono stati rimossi preventivamente venerdì e il movimento continuerà a mobilitarsi per bloccare la costruzione.

Il progetto Sainte-Soline, che rappresenta 16 ettari di terreno artificiale e 720.000 m3 di acqua privatizzata, è purtroppo solo l’inizio. Entro il 2025 potrebbero essere costruite quasi 1.000 mega-piscine se l’agroindustria continuerà a portare avanti i suoi progetti e le autorità pubbliche continueranno a sostenerli e a finanziarli fino all’80%. E questo dopo un’estate torrida che ha lasciato le falde e i fiumi in uno stato di siccità senza precedenti. L’azione di sabato è stata quindi un’emergenza per fermare questo sito di test prima che ne venissero dispiegati altri. È stato un momento cruciale nell’ascesa del movimento anti-bacino e della sua visibilità.

Domenica, un altro punto chiave di questa infrastruttura è stato preso di mira dalle migliaia di oppositori ancora presenti sul posto: le sue tubature. Il bacino di Sainte-Soline ha 6 tentacoli che pompano nella falda freatica per riempire i suoi 720 000 m³ di acqua.

Il dispositivo della prefettura è stato nuovamente sventato da questa azione e gli attivisti sono riusciti a scavare e smantellare una rete di tubi. La rete smantellata oggi pompa nella falda acquifera a livello del Bignon, un fiume che è in secca come molti altri a causa del livello di siccità e della crisi climatica. Alcune di queste condutture rischiano di occupare le reti esistenti e restano 18 km da costruire, se i lavori proseguiranno nonostante tutto.

Inoltre, sul campo è stata costruita una vedetta. Servirà come torre di osservazione per gli uccelli e per i progressi del cantiere del bacino di Sainte-Soline, situato a 2 km di distanza. Questo campo, dove il proprietario invita gli oppositori a rimanere fino al 19 maggio (quando tornerà l’otarda), potrebbe essere utilizzato nelle prossime settimane come base per un’ulteriore mobilitazione.

I media stanno cercando di creare una divisione tra i cosiddetti oppositori ambientalisti urbani e i contadini, suggerendo che non ci sono contadini nel collettivo, ma solo radicali di ultra-sinistra, ecologisti e black block. Ma questo è completamente falso, c’è certamente un’opposizione, ma è l’opposizione tra i sostenitori dell’agricoltura intensiva, dell’agroindustria e della FNSEA (il più grande sindacato agricolo francese) contro i sostenitori di un’agricoltura contadina rispettosa dell’ambiente.

Immagini: https://lessoulevementsdelaterre.org/blog/la-bataille-de-sainte-soline-en-photo

 

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La violenza dello Stato ha tante facce. Spacchiamole tutte!

Martedì 5 luglio alle 6.15 decine di guardie in borghese, con il supporto dei vigili del fuoco, sono entrate a berta, invadendo il giardino nel giro di qualche minuto.
La sola presenza fisica di una cinquantina di uomini cis bianchi e violenti, che in più erano guardie di ogni tipo (carabinieri, polizia, ros, digos, celere, vigili del fuoco ed operai), è emblematica di tutti i livelli di violenza che lo stato agisce contro gli spazi liberati, antifa, transfemministi, ecologisti ed antispecisti.
Nei primi minuti dello sgombero si sono interfacciati con le tre persone presenti al piano terra (due ragazze ed un ragazzo) chiudendole in una stanza, sequestrando loro i telefoni (nonostante le richieste di chiamare l’avvocato, rifiutate) e restituendoglieli solo dopo quella che loro definivano “operazione speciale” (ahah), ovvero la presa del terrazzo.
Di fronte alla nascita di resistenze, hanno preso le due ragazze presenti e le hanno sottoposte ad una perquisizione completa (con tanto di squat) con finalità punitiva disciplinante, senza dichiarare il motivo della perquisizione (infatti è stato perquisito solo il corpo, non borse ed altri effetti personali), e senza rilasciare alcun verbale. Non essendoci nessun provvedimento di perquisizione personale, questa si è configurata come atto illecito, un abuso con la finalità di umiliare.
Infatti, la perquisizione è avvenuta in modo volutamente arbitrario, nei confronti di sole due persone, agendo quindi la solita individuazione di quelli che vengono ritenuti i soggetti meno disciplinati che, di conseguenza, vengono isolati e colpiti.
Lo Stato ha agito con un’operazione in grande stile, con la totale complicità delle istituzioni (regione lazio in primis), le quali pensano di sgravarsi dal ruolo repressivo loro intrinseco delegando le azioni di polizia alla macchina repressiva dello stato. noi vogliamo invece riaffermare con forza che le responsabilità sono inscindibili e condivise e che stato e istituzioni, ovvero potere statale e politico, sono complici delle stesse brutture, dentro le città così come alle frontiere e nei non luoghi delle carceri.
L’obiettivo dell’operazione di martedì è stato di soffocare l’esperienza di Berta nel minore tempo e resistenza possibili. Questo dimostra che, al di là di via della Caffarella 13, lo Stato e le sue istituzioni hanno timore dei semi che stiamo spargendo e delle tempeste che nasceranno “da ogni singola goccia”.
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La rivoluzione ecologista non si sgombera – Comunicato dal corteo post sgombero

Ieri mattina (5 luglio), con un’operazione massiccia delle FDO, nella quale le istituzioni di governo sono rimaste silenti, la Laboratoria Ecologista Autogestita Berta Cáceres è stata sgomberata dai locali di via della Caffarella 13, dove aveva costruito una casa per le lotte ecologiste e uno spazio aperto al territorio.
Si tratta del secondo sgombero dallo stesso posto nel giro di cinque mesi – di cui tre passati dentro a via della Caffarella. Mesi in cui è sbocciata una realtà politica in profonda simbiosi con il luogo liberato e restituito a tutt3, sottratto alla mortifera gestione della Regione Lazio. A partire da qui, è cresciuta una sperimentazione di ipotesi di futuro e presente diversi, in contrasto con la realtà di violenza sociale e di crisi climatica che viviamo tutti i giorni nelle strade di Roma. Nell’oggi funestato da incendi, siccità, morti legati alla catastrofe climatica, violenza sui corpi non conformi, inflazione feroce, lotta senza quartiere alla povertà, questa sperimentazione non è auspicabile: è necessaria.
Per esprimere la rabbia per l’ingiustizia che questo sgombero rappresenta ieri pomeriggio abbiamo occupato le strade della città con parole, idee, passioni e coraggio. La città ha dimostrato di riconoscere l’importanza del progetto della Laboratoria partecipando e condividendone la rabbia e il cammino.
Si è partit3 dalla Regione Lazio, denunciando la pochezza politica di quell’istituzione, involucro di cemento che protegge con la violenza interessi nemici. Da lì, sfilando per le vie di Garbatella e comunicando con il quartiere ci siamo pres3 una rivincita contro il Ministero della Transizione Ecologica, che ha i seggi sporchi del nostro sangue, a partire da quello dei morti della Marmolada. Ci siamo ripres3 infine la nostra casa, i sanpietrini dell’Appia antica, bloccando con determinazione il traffico e avanzando fino all’imbocco di via della Caffarella.
Hanno tolto lo spazio fisico alla Laboratoria, ma ciò che in quello spazio è nato non si può togliere, né fermare. Le iniziative programmate per i prossimi giorni avranno luogo in altri spazi, mentre l’azione politica continuerà esattamente sugli stessi temi.
LA RIVOLUZIONE ECOLOGISTA NON SI SGOMBERA!
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Roma brucia, le istituzioni tacciono, la polizia sgombera. Berta resiste!

A due mesi dalla rioccupazione, questa mattina la Laboratoria Ecologista Transfemminista Berta Càceres, in Via della Caffarella 13, è stata sgomberata dalla polizia per ordine del Tribunale di Roma.

Questo pomeriggio alle ore 17:30 ci ritroveremo sotto la sede della Regione Lazio, responsabile politico di questo sgombero, per poi muoverci insieme, nelle strade della Garbatella, per raggiungere il Ministero della Transizione Ecologica, responsabile politico della totale incapacità di affrontare seriamente le conseguenze drammatiche e visibili della crisi climatica ed ecologica.

Come ben sapete, il 7 maggio abbiamo rioccupato via della Caffarella 13 e così abbiamo riaperto lo spazio a tutta la comunità. Da allora abbiamo organizzato decine di iniziative di ogni tipo, partecipando a mobilitazioni cittadine e nazionali e riportando la crisi ecologica al centro dell’attenzione metropolitana.

Attorno a noi tutto continua a dimostrare che abbiamo tristemente ragione: la crisi ecologica e sociale che viviamo è spaventosa. I danni all’agricoltura, le montagne prive di neve, i fiumi in secca e le temperature in drammatico aumento ci dimostrano quanto sia urgente riflettere e agire per salvare il pianeta dalla catastrofe climatica. Una crisi che non può essere più negata, basti pensare al disastro della Marmolada, e che viene capitalizzata sulla pelle delle persone che ogni giorno devono lottare per sopravvivere in questa società. 

Liberando Villa Greco abbiamo anche riaperto il problema politico della gestione del patrimonio pubblico cittadino, di quale sia la visione di esso che ne hanno le istituzioni e di quale progettualità ci possa essere a riguardo. Occupare Villa Greco è stato fatto anche per salvare un pezzo del parco della Caffarella dall’ennesima speculazione da parte del capitale finanziario a scapito del bene pubblico.

Vendere il patrimonio pubblico per fare cassa significa sottrarre a chi vive la città spazi di relazione e di confronto che siano liberi dalla logica mercificatoria, privatistica e mortifera del capitalismo. Significa permettere alla proprietà privata e alle sue forme distorte provocate dalla finanziarizzazione del mercato immobiliare, non solo di fare profitti, ma di dettare le regole del gioco in modo autoritario. 

Chi c’è dietro la finanziarizzazione? Sostanzialmente c’è la dematerializzazione del bene immobile, del senso stesso di proprietà, al fine di rendere il tutto impalpabile e inafferrabile, suppostamente governato solo dalle invisibili leggi del mercato.

Non conosciamo il vostro progetto rispetto a Villa Greco, pensiamo che semplicemente non ne abbiate uno, e che crediate che banalmente è meglio lasciar scorrere la situazione attuale. Sgomberando avete scelto di lasciare che tutto scorra, anche se questo significa destinare quell’immobile all’abbandono, o alla trasformazione in villini di pregio o in un club sportivo privato.

 

L’analogia con l’approccio delle istituzioni alla crisi ecologica è evidente. Sappiamo che è necessario in breve tempo fare a meno del fossile, investire in modo sistematico sul trasporto pubblico, ridurre i consumi, impedire quelli di lusso responsabili di gran parte delle emissioni di gas climalteranti, difendere il bene idrico sottraendolo alle multiutility e riparare le perdite negli acquedotti, ridurre la produzione di rifiuti con una raccolta porta a porta sistematica e cogliere l’occasione per un cambio di rotta in senso redistributivo e di giustizia sociale.

Invece quello che viene fatto sono di solito proclami vuoti: si pianta qualche alberello, qualche orto urbano, si dipinge con fantasmagoriche vernice anti smog, e nel frattempo tutto prosegue come prima e peggio di prima, tra inceneritori, acquedotti-colabrodo,  finanziamenti e favoritismi di ogni tipo all’industria del fossile.

Berta Caceres, che ci ispira fin dalla nascita del collettivo, diceva che la rivoluzione doveva essere totale, non c’era mediazione possibile. Siamo entrati in via della Caffarella 13 il 6 marzo perché crediamo questo e continueremo a crederci senza mediazioni né compromessi.

Questo sgombero dimostra come abbiate deciso di porvi a difesa del capitale finanziario, sottraendovi al confronto politico e delegando alla Questura e al tribunale la “gestione” della crisi sociale ed ecologica in atto.

 

Ma sappiate che anche se ci avete sgomberate, noi continueremo a portare conflitto in questa città e ad attraversare con ancora più rabbia le mobilitazioni a livello nazionale e internazionale. 

Invitamo tuttu  a raggiungerci sotto la Regione: la rivoluzione ecologista non si sgombera.

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Lettera di M. alla Laboratoria

Per più di 20 anni, l’immagine della terra dallo spazio è stata usata come logo del movimento ambientalista, apparendo su innumerevoli t-shirt, maglie, braccialetti e zaini. Per proteggere questo fragile globo, si organizzano vertici ambientali e si celebra la Giornata della Terra. Siamo tutti giunti alla conclusione che se non cambiamo il nostro comportamento, dobbiamo preoccuparci del futuro del nostro pianeta, come se avessimo a che fare con una specie in pericolo o con uno dei suoi figli che muore di fame in una terra lontana.

Ma smettiamo di lodare la Terra ! Smettiamo di credere che stiamo lottando per essa ! Questo povero pianeta? Siete sicuri ? Sapete che ci sono state almeno 5 estinzioni di massa e a volte meno dell’1% delle specie sono sopravvissute. Affrontando tutti i pericoli, i venti solari, i campi di ghiaccio, le meteore e così via, la Terra è ancora lì, impassibile. Renditi conto che non importa cosa succederà all’umanità, il pianeta rimarrà lì per molto tempo. Continuerà il suo balletto celeste e parteciperà ancora e ancora a questo valzer cosmico, questo bolero astrale che dà ritmo ai cicli del tempo e dello spazio. Come se l’uomo fosse il garante della Vita, come se il destino del nostro caro pianeta fosse nelle nostre mani. Che arroganza!

Meravigliandoci di questo fragile e delicato globo blu, impegnandoci a venire in suo soccorso, assumiamo il ruolo di un genitore protettivo, lontano mille miglia dalla realtà. Questa visione è perniciosa come quella di Bacone. Lui chi Ha percepito la Terra come una macchina al nostro servizio e ha convinto l’Occidente di questo. Questo paradiso della vita non sarebbe altro che un frigorifero gigante, e tutto quello che dovremmo fare è aprire la porta per servirci. Queste sono visioni in cui noi giochiamo il ruolo principale. Quindi so che siamo gli eredi dell’antropocentrismo giudeo-cristiano, ma è ora di tagliare il cordone ombelicale, di prendere il volo e sublimare tutto quel passato. Non invertiamo più i ruoli, sono gli esseri umani ad essere fragili e vulnerabili, e a vivere su un pianeta nutriente che li mantiene in vita.

Quando vedo il saccheggio delle risorse naturali, tutte queste crepe, questi buchi nel cielo e nella pietra, queste fratture, queste schegge, le viscere aperte della Terra, non sono tanto preoccupato per il pianeta. Sono più preoccupato per l’uomo. E sì! Se l’uomo persiste nel separarsi da questa matrice che è il nostro pianeta. Temo che riuscirà a convincerlo di essere un corpo estraneo. E crediamo che voi sappiate cosa succederà in questo caso. L’organismo del pianeta rifiuterà l’innesto umano e alla fine cauterizzerà la ferita pruriginosa. A quel punto sarà troppo tardi per considerare qualcosa. Così, crediamo che la questione non stia tanto nel come proteggere il pianeta, che, se superiamo i suoi limiti, può annientarci, ma piuttosto nella capacità di ogni individuo di rendersi conto di appartenere a un insieme più grande che lo supera.

Cosa possiamo tramandare per il domani ? se non una grande ciotola di umiltà, se non questa saggezza che metterà in discussione la nostra visione del mondo e dell’essere umano.
Questo stato di coscienza è il terreno di coltura di un’intelligenza collettiva che ci guiderà verso l’armonia, e questo terreno di coltura si arricchisce ogni giorno qui a Berta! Cosa possiamo trasmettere per il domani se tutto si ferma oggi? Ci meravigliamo dell’intelligenza artificiale, cerchiamo la vita extraterrestre. Perché tutte queste fantasie quando basta guardare in basso per vedere la vita che brulica, per vedere tecnologie così avanzate che non sappiamo come riprodurle. Abbiamo dovuto aspettare l’arrivo del microscopio elettronico per capire l’idrofobicità che caratterizza le foglie del loto ancestrale. Ma ancora oggi non sappiamo come fare superfici durevoli di questo tipo. Perché cercare soluzioni esterne quando c’è già tutto? Prendiamo coscienza delle colossali capacità che abbiamo intorno a noi. Non crediamo che qualcosa possa essere insegnato o inculcato. Crediamo piuttosto che aprendo il nostro cuore, lasciando trasparire la nostra vulnerabilità e andando oltre le maschere che indossiamo, chi ci osserva potrà capire che è possibile. Oggi vorremmo trasmettere questo barlume di speranza, essere lo specchio di coloro che ci osservano affinché si rendano conto che non ci sono vincoli reali.

Compagne, compagni! Ricordatevi che siamo tutti uno! Smettete di cercare di conquistare la terra e il cielo e lasciate che la terra e il cielo conquistino voi, perché in ognuno di voi, in ogni sasso, in ogni spina di pino, in ogni cipresso, in ogni torrente, in ogni folata di vento, in ogni roseto, in ogni granello di sabbia, in ogni atomo, c’è una vibrazione dell’onda che è vita.

Forza Berta!

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BERTA È TORNATA A VIA DELLA CAFFARELLA 13!

 

CONTRO LE GUERRE CAPITALISTE 1000 LABORATORIE ECOLOGISTE

📌 APPUNTAMENTO h 12 per difendere l’occupazione.

🥪 Pic nic;
🎶 Djset a cura di Dost
🎤 Assemblea pubblica.

La guerra in Ucraina è cominciata due mesi e mezzo fa. Durante questo tempo governi e istituzioni non hanno saputo, né voluto, creare alternative contro l’ennesimo conflitto che sta massacrando l’Est Europa. Tra lacrime di coccodrillo e finte diplomazie, i governi europei stanno investendo miliardi sugli armamenti e stanno correndo a destra e a sinistra alla ricerca di fonti fossili.

Sottraiamo nuovamente all’abbandono via della Caffarella 13 perché vogliamo aprire spazi di conflitto contro l’intero assetto culturale e politico che ancora legittima la dipendenza dal fossile. Riteniamo che la crisi climatica sia ormai inscindibile dalle guerre che aggrediscono senza tregua popoli ed ecosistemi. Una lotta ecologista veramente radicale non può quindi ignorare che la stessa guerra che piega luoghi apparentemente lontani è onnipresente nelle nostre vite, sotto tante forme diverse: come confine di Stato che produce morte, come repressione poliziesca che annienta il dissenso, come carovita, flessibilizzazione del lavoro, devastazione dell’ambiente e privatizzazione dei beni comuni, come ci dimostra il nuovo DDL Concorrenza del governo Draghi. Sappiamo bene che le guerre che devastano e inquinano le terre sono portate avanti e sostenute dalla stessa logica mercificante e liberista che sottrae spazi comuni per renderli spazi di creazione di guadagno economico per pochi. Come succede in via della Caffarella 13, spazio da cui siamo state sgomberate il 24 marzo scorso.

Lo stabile di proprietà della Regione Lazio, che si trova in un parco regionale protetto, è stato abbandonato nel 2011 e successivamente messo all’asta attraverso Invimit, soggetto tecnico del MEF che, in tutto il paese, sta guidando i processi di messa a valore e privatizzazione del patrimonio immobiliare degli enti pubblici. Non si tratta di un processo neutro: al contrario, è frutto di precise scelte politiche che vogliono aumentare le possibilità del privato di fare profitto sul pubblico e sui servizi. Un processo di questo tipo sta avvenendo in modo sistematico: ad esempio, sul patrimonio immobiliare pubblico del comune Napoli. Immerse in questa logica speculativa, le istituzioni coinvolte nella gestione dell’immobile, sempre pronte a riempirsi la bocca pubblicamente di temi ambientali, non hanno colto l’urgenza della nostra proposta politica e, nell’incontro che con loro abbiamo avuto il 31 marzo, hanno fatto muro contro ogni nostra richiesta.

Della stessa scuola è il Ministro della transizione Cingolani, che si adopera solerte per accaparrare risorse fossili in giro per il mondo e favorisce il ritorno delle centrali a carbone utilizzando i fondi del PNRR. Siamo convintǝ che per contrastare concretamente questi processi sia quanto mai necessario aprire spazi di condivisione comunitaria e di riappropriazione dal basso, attivatori di autogestione. La necessità di spazi come questo è provata dal fatto che, a differenza delle istituzioni, la città ha colto la rilevanza del nostro progetto, partecipando in forze ai 18 giorni dell’occupazione e continuando a seguirci in tutte le mobilitazioni da noi costruite dal 24 marzo ad oggi.

Liberando via della Caffarella 13, abbiamo mosso i primi passi verso un posizionamento dal basso contro la guerra, attraverso assemblee e incontri. Abbiamo costruito pratiche femministe e transfemministe. Analizzato e valorizzato utilizzi non consumistici dell’acqua e del cibo.
Abbiamo aperto spazio all’intreccio delle istanze territoriali che abitano Roma, consapevoli che la guerra sui nostri corpi passa attraverso la centrale al carbone a Civitavecchia, la gestione mafiosa dei rifiuti ai Castelli Romani, il nuovo termovalorizzatore voluto da Gualtieri, la gestione criminale che Acea fa dell’acquedotto romano. Abbiamo utilizzato lo strumento dell’alimentazione vegana come rifiuto del sistema devastante degli allevamenti intensivi.
Abbiamo difeso lo spazio senza tuttavia chiudercisi dentro. L’abbiamo reso il più permeabile possibile e, allo stesso tempo, ne abbiamo avuto cura. Berta voleva essere tutto questo il 6 marzo scorso e vuole essere questo anche oggi.

Torniamo dentro via della Caffarella 13 perché la rivoluzione ecologista non si sgombera, perché le nostre ragioni sono valide oggi come due mesi fa, e perché non ci faremo impaurire davanti alla repressione che abbiamo subito. Perché Berta Vive, e continua ad ispirarci nella lotta.

L.E.A. Berta Cáceres

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Primo maggio 2022 – Hanno provato a seppellirci, ma non sapevano che eravamo semi

 

Il nostro intervento integrale dal palco del Forte Prenestino il primo maggio:

 

Ciao a tuttu dalla Laboratoria Ecologista Autogestita Berta Cáceres. Una laboratoria nata il 6 marzo di quest’anno alla Caffarella per convogliare verso di sé le lotte ecologiste e transfemministe, della città e transnazionali.

Ci siamo ispirat a Berta Cáceres, un’attivista honduregna per i diritti dei popoli indigeni. Una donna, femminista, una donna del popolo Lenca che combatteva contro una grande opera che avrebbe distrutto il territorio sacro per i Lenca.

È stata uccisa nel 2016 dai sicari mandati dall’azienda che voleva costruire l’opera e dallo stesso governo honduregno, perché provava a opporsi alla logica estrattivista del capitalismo per la quale l’ambiente e le persone solo risorse da consumare. La stessa logica che causa guerre, sfruttamento e devastazione di territori e corpi. Berta non è morta, si è moltiplicata.

Si è moltiplicata in tante forme, anche nell’azione di un collettivo che dall’altra parte del mondo si oppone alle stesse logiche del capitalismo, insostenibili, a cui si opponeva lei.

Il collettivo ha liberato uno spazio pubblico con l’intenzione di evitarne la vendita all’asta e la messa a profitto. Lo spazio è stato aperto alla collettività, dopo essere stato chiuso per più di 10 anni. Uno spazio in un parco, il parco della Caffarella, strappato anch’esso con fatica alla speculazione edilizia, anche grazie alla determinazione delle comunità che attorno a quel parco vivevano e vivono e che continuano a prendersene cura.

Abbiamo abitato quel posto per praticare quotidianamente una socialità diversa, la sovversione dei generi e dei consumi, uno stare insieme basato sul benessere di tante persone e non sul profitto di poche.

Per 20 giorni siamo stat attraversat da centinaia di persone, che hanno immaginato cosa poteva diventare la laboratoria, partecipando ad assemblee, autoformazioni, presentazioni, cineforum, incontri di convergenza con molte realtà che portano avanti lotte affini. Come quelle per il diritto all’abitare, i gruppi ambientalisti, i comitati territoriali del Lazio e di fuori regione che combattono contro l’inquinamento, per la salute delle persone e del territorio, chi porta avanti le battaglie per la riduzione dei rifiuti, per una mobilità sostenibile, collettivi transfemministi e antispecisti. E le tante realtà degli spazi liberati di Roma e non solo.

Nonostante questo, uno sgombero portato avanti con tempistiche e modalità infami, è arrivato il 24 marzo. Proprio il giorno dopo la notizia che Andrea Dorno, compagno di molt di noi, ci aveva lasciat.

Ma abbiamo subito rilanciato la nostra mobilitazione, con il corteo ecologista per il Global Strike il giorno dopo. E il giorno dopo ancora abbiamo marciato al fianco di lavorator GKN a Firenze.

Per dire, insieme a loro, che la salute, l’ambiente e il lavoro non sono alternative l’una all’altra.

E per dire che rifiutiamo il ricatto neoliberista che obbliga alla scelta tra un posto di lavoro e la sopravvivenza economica da una parte, e dall’altra la tutela della salute di corpi e territori.

Vogliamo uscire dall’unica via del lavoro al servizio del capitale.

La convergenza delle lotte ecologiste e per il lavoro, denuncia l’infondatezza di questo assioma. Siano esse in fabbrica, ufficio, strada, casa, smart working, università, città, campagna, in disoccupazione o non lavoro (volontario e non).

Se lo scopo è la cura e la rigenerazione, lavoro può voler dire risanamento ambientale, bonifica, sostegno di persone, animali e territori (sanità, supporto psicologico, mediazione, re-integrazione, assistenza sociale, accudimento di persone e animali, cura di aree protette, manutenzione, riparazione…)

Vogliamo vedere un futuro in cui, non una transizione, ma una rivoluzione ecologica, fatta di scelte condivise dal basso, reimpieghi lavorator in nuove mansioni. Ma pretendiamo che questo passaggio ci veda protagonist, perché le conseguenze delle decisioni ricadono su tutt noi.

Come ricadono su di noi le scelte scellerate legate alla guerra in Ucraina. Oltre al rincaro dei prezzi, che ancora una volta mette in difficolltà chi è già in difficoltà, si vede un ritorno a fonti inquinanti, come il carbone. Come unica soluzione all’incapacità di approvvigionamento di risorse energetiche da regimi che non siano totalitari. La soluzione, per il governo, e per il ministro Cingolani, è prendere il gas in Congo e Algeria, ripetendo sempre gli stessi errori. Per non parlare degli affari di Eni in Egitto, il cui prezzo da pagare è il silenzio su casi come quello di Giulio Regeni, di Patrik Zaki, ma anche di Rasha Azab.

Non vogliamo che tempi e modi della riconversione ecologica siano imposti da chi finora ha lucrato provocando i danni che adesso fa solo finta di voler risolvere. Con definizioni fuorvianti, come su gas e nucleare, diventate improvvisamente fonti sostenibili. Con false prospettive di miglioramento dei servizi che nascondono solo altre privatizzazioni a unico beneficio del profitto privato.

Inclusa in questo quadro è la sanità. Negli ultimi anni più che mai abbiamo visto come la salute sia una questione di classe. Il prezzo più alto della pandemia è stato pagato da soggettività femminilizzate, subalterne, già emarginate e in difficoltà. Sappiamo quanto l’elemento ecosistemico sia stato determinante nella nascita e nella diffusione del virus.

Alla sindemia, ormai dato endemico, si risponde a suon di stati di emergenza, buoni da usare in ogni occasione. Per motivi sanitari, per la guerra e addirittura per la gestione del ciclo dei rifiuti.

La crescita infinita e indiscriminata della nostra società non è né possibile, né auspicabile. Rifiutiamo di essere consumator inconsapevoli al servizio del sistema capitalistico che produce solo soldi, merci, frustrazione e rifiuti. Riconosciamo i falsi bisogni indotti da un ingranaggio che genera insoddisfazione per ottenere guadagno.

Rifiutiamo il soddisfacimento cieco di bisogni materiali quando questo avviene sulle spalle di altre soggettività, sfruttando la forza lavoro secondo logiche disumane, e dell’ambiente, secondo un modello estrattivista che distrugge popolazioni e territori. Un modello che guadagna dallo sfruttamento disumano del lavoro migrante, di soggettività razzializzate o in posizione di subalternità e necessità.

Boicottiamo prodotti e sistemi che riteniamo dannosi e rivendichiamo il potere di un uso e consumo essenziale e consapevole, che scelga di sostenere modalità produttive e riproduttive veramente sostenibili. Sapendo che l’orizzonte non è individuale, ma è all’interno di un ecosistema complesso, ed è alla luce di questo che vanno re-inventate le risposte.

Un lavoro non precario e con ritmi più umani equivale a tempo per soddisfare i bisogni, personali e collettivi, oltre il mero sostentamento economico. Vediamo la possibilità di un mondo in cui ognun abbia il necessario, possa esprimere la propria individualità e condividerla con altr. un reddito garantito per tutt può essere un modo per venire incontro a questi bisogni.

E ribadiamo anche il nostro diritto a non lavorare. A non vivere per lavorare. A non lavorare per vivere, o per sopravvivere.

 

Buona festa del non lavoro

Buoni 36 anni di occupazione

Per ogni sgombero, 10 100 1000 occupazioni!

Berta dall’Honduras, ce l’ha insegnato. Difendere la terra non è reato!

 

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Verso il primo maggio

Crisi energetica, la Russia invade l’Ucraina, i governi europei e le organizzazioni internazionali mostrano la loro inefficienza: due mesi di escalation nei toni diplomatici e soprattutto della violenza sul campo, e i morti. Le cause geopolitiche di questa escalation di scala globale sono complesse e le potenze occidentali ne sono corresponsabili. Se da una parte la politica di Putin degli ultimi decenni non è certo stata attenta al rispetto dell’ambiente, né dei più basilari diritti umani, d’altra parte le politiche espansionistiche della NATO e il modello di sviluppo capitalista è ciò che provoca quegli squilibri che hanno portato al conflitto: l’Ucraina fa gola per le risorse energetiche necessarie all’Occidente affinché noi, cittadini di prima classe, possiamo mantenere gli attuali livelli di vita e di “progresso”.
Il primo maggio 2022 affermiamo con forza la necessità della convergenza tra movimento də lavoratorə e movimento ecologista e ci impegnamo a sostenerla. In Italia come nel resto del mondo a pagare il costo del conflitto per le risorse non sono le persone più abbienti, ma quelle che a fatica riescono a vivere del loro lavoro e che sono già afflitte dal carovita: l’aumento dei prezzi dei beni primari, delle bollette, dei servizi, dei carburanti. Questo conflitto prevedibile e atteso aggrava il contesto del lavoro italiano già avvelenato dal precariato, dalla disoccupazione, dai salari ridicoli, dai processi di delocalizzazione, dal mancato riconoscimento del lavoro di cura, dall’infame litanìa televisiva in cui si agita lo spauracchio della scelta tra il lavoro e la salute, dall’erosione di ogni forma di tutela sociale. Aumenta il ricatto occupazionale, peggiorano le condizioni di lavoro, lavoratrici e lavoratori sono  espostə a continui piani di licenziamento. In Europa già si vedono gli effetti  dell’inflazione che porta milioni di persone sull’orlo di un’ulteriore crisi e alla preoccupazione concreta di non arrivare alla fine del mese.
Questa guerra guerreggiata sta rivelando la vera faccia della “transizione ecologica”: il ministro Cingolani corre ai ripari riportando nel mix di energia il carbone e mettendo in stand-by i progetti di riconversione energetica verso le rinnovabili. Un esempio tra tanti il rapido ripristino delle centrali a carbone di Civitavecchia, dove un intero territorio già devastato dai decenni precedenti si ritrova di nuovo esposto a alti livelli di nocività ambientale e per la salute umana. Cingolani di fronte al rischio concreto di perdere le forniture di gas russo, non ha esitato a stringere nuovi accordi con Congo ed Algeria. Non ci stupisce constatare che le promesse di degassificazione erano parole al vento e che l’interesse coloniale del nostro paese non sia mai morto.
Per il primo maggio 2022 riteniamo cruciale una convergenza tra movimento də lavoratorə e movimenti ecologisti basata sul riconoscimento del valore rivoluzionario del lavoro riproduttivo e di cura alla pari di quello produttivo. Una convergenza che vede come unica possibile transizione ecologica quella agita dal basso e dalle persone, non quella imposta dal governo e dalle lobby finanziarie che speculano sul capitale e sul profitto. Non pagheremo il costo di questa guerra, né dei prossimi conflitti energetici. Piuttosto imposteremo le nostre lotte sull’autosostentamento, sull’autodeterminazione e sull’indipendenza dai combustibili fossili, esigendo che siano praticate tutte le alternative disponibili che sostengano le categorie più vulnerabili invece di costringerle a pagare le pesanti conseguenze di scelte irresponsabili.
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Rifiuti, Problema Capitale!

Cambiano le amministrazioni comunali, ma il problema dei rifiuti continua ad essere gestito in modo inaccettabile in questa città.
La raccolta differenziata è limitata, e non incentivata poiché si continua a concepire il rifiuto come fonte energetica e di profitto. Si facilitano gli interessi di gruppi di potere economico e finanziario e ci si allontana dalla riduzione della produzione di rifiuti.
Qualunque progetto che permetta di risolvere la drammatica e ciclica crisi della Capitale sui rifiuti non può che basarsi su una serie di punti:
1) L’estensione del porta a porta, unico strumento per aumentare quantità e qualità della raccolta differenziata.
2) Il decentramento della gestione dei rifiuti nei municipi, con la realizzazione di impianti di dimensioni medio/piccole (esempio: biocelle), e piccolissimi da dislocare nei quartieri, per “avvicinare” la popolazione e massimizzare il recupero dell’organico.
3) Il raggiungimento entro il 2023 (o prima) dell’obiettivo di raccolta differenziata del 100% della frazione umida, condizione indispensabile per il recupero di materia a valle della raccolta e per diminuire il ricorso all’incenerimento e alla discarica.
4) L’abbandono di tecnologie come l’incenerimento o la pirolisi per la produzione di energia dai rifiuti e del trattamento anaerobico per la produzione di gas combustibile (biogas), a favore del trattamento del materiale umido differenziato attraverso impianti di compostaggio aerobico.
5) Abbandono del “modello TMB” (Trattamento Meccanico Biologico), poiché sono impianti progettati e ottimizzati per produrre materiale da conferire in discarica o da bruciare in inceneritori o altri processi industriali (cementifici). Servono invece impianti moderni ottimizzati per il recupero di materia.
Alla luce di tutto questo convochiamo per sabato 9 aprile alle 10.00 una manifestazione davanti al TMB di Rocca Cencia, un impianto che è la rappresentazione concreta di quello che non vogliamo, per protestare contro la scelta del sindaco Gualtieri di allargare l’impianto e usare i fondi del PNRR per costruirne uno per il trattamento della plastica e carta.
Crediamo sia necessario costruire una rete larga e capace di far fronte alle sfide della crisi ecologica in corso e di esercitare pressione verso le istituzioni per un drastico cambio di rotta.
Per costruirla insieme contatta @ReteEcoSistemica su Facebook: https://www.facebook.com/ReteEcoSistemica