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Tutt3 odiano la Cop, tranne i potenti.

Non deleghiamo il nostro futuro: rivoltiamoci contro il presente!

Da una settimana è in corso la ventisettesima Conferenza delle parti (Cop 27), che quest’anno si tiene a Sharm el-Sheikh, in Egitto. Fin dalla loro creazione, le Cop si sono configuarate come i principali strumenti internazionali di gestione dall’alto dei cambiamenti climatici e della crisi ecologica, dove governi, organizzazioni e rappresentanti delle imprese si incontrano per fare un punto sul proseguire della crisi.

Come da anni i movimenti ecologisti e sociali sostengono, però, ciò che dovrebbe rappresentare la soluzione, è invece buona parte del problema.

In questa edizione è particolarmente evidente come il modello Cop, e in generale la gestione nazionale e internazionale della crisi climatica, proceda strutturalmente astraendo la giustizia climatica da quella sociale, attraverso un’abile operazione di greenwashing. Non a caso è stato scelto l’Egitto come paese ospitante: il regime di Al-Sisi garantisce a governi e multinazionali riuniti nei resort affacciati sul Mar Rosso di discutere su come tutelare al meglio i propri profitti. Il governo egiziano, al contempo, impone al paese una violentissima repressione del dissenso politico, come più volte denunciato da attivistə locali e non. L‘uso costante della tortura fisica e psicologica nelle carceri, delle sparizioni e della violenza poliziesca, garantisce alle multinazionali di guadagnare indisturbate miliardi nel territorio egiziano, come fa Eni nel giacimento di Zohr.

Protesta a Sharm el-Sheikh con fazzoletto alla bocca per rimarcare l’impossibilità di parola imposta con la violenza dal governo egiziano
La gestione della crisi climatica, nella transizione dall’alto decantata dai potenti, va di pari passo con la repressione delle più basiche libertà individuali e collettive e dei diritti umani. E non è solo il caso dell’Egitto: anche in Italia si procede a passo spedito verso una gestione sempre più brutale delle tensioni sociali, inasprendo le pene e continuando ad applicare regimi detentivi di tortura come il 41 bis.
In linea con questo, la presenza di Meloni alla Cop27 non sta facendo altro che consolidare una strategia già largamente utilizzata: i politici, infatti, si arrogano la legittimità di creare un immaginario e una retorica per la quale si fanno fintamente carico della crisi ecologica, pretendendosi completamente slegati -e spesso in controtendenza- dagli interventi che operano sulla realtà tragica della crisi ecologica, verso la quale agiscono invece in modo repressivo e tutelante dello status quo. E’ così, quindi, che Meloni millanta una riduzione del 55% delle emissioni italiane entro il 2030, mentre tra i primi atti del nuovo governo c’è stata l’abolizione del divieto di estrazione offshore entro le 12 miglia marine.

Questa concezione di ecologismo classista, coloniale e nemico della giustizia sociale ha i piedi d’argilla e le ore contate.

E’ evidente, infatti, come le Cop utilizzino degli strumenti di risoluzione della crisi strutturalmente inefficaci, o meglio peggiorativi. La logica di governo della crisi climatica ripropone gli elementi che storicamente l’hanno generata: la finanza è lo strumento principale, in quanto vengono utilizzati diffusamente meccanismi di disincentivo economico e compravendita delle emissioni.

Esempio di questo è il modello proposto dagli Stati Uniti in questa Cop, l’Energy Transition Accelerator. Si tratta di un accordo in cui, con la stretta collaborazione delle fondazioni (la Rockefeller Foundation e il Bezos Earth Fund) gestite da due tra le più aggressive multinazionali estrattiviste, si permetterebbe al capitalismo fossile di continuare a devastare ed inquinare il globo in cambio di progetti “sostenibili” nei paesi del sud del mondo, progetti che fin troppo spesso si sono rivelati semplicemente l’ultima frontiera coloniale della green economy.

In questo modo, si continua a porre la finanza come principale strumento di governo della crisi climatica (e la polizia a tutela del suo meccanismo), riproponendo la grottesca idea della sua bontà intrinseca che secoli di crisi cicliche e ingiustizie hanno semplicemente sbugiardato.

L‘onnipotenza del mercato, la difesa violenta della sua logica, la concentrazione dei capitali sono generatori e garanti delle crisi che stiamo vivendo oggi. Emblematica della ristrettezza di vedute, del classismo e, in ultima analisi, dell’ ipocrisia del sistema Cop, è l’enorme mole di inquinanti emessa dai lussuosi jet privati su cui viaggiano le delegazioni dei vari paesi.
Le Cop rappresentano un tentativo disperato di conservazione da parte di una classe dirigente che costituisce una nuova aristocrazia mondiale. A fronte di questo, abbiamo bisogno di agire e portare avanti un cambiamento radicale. Un cambiamento di questo tipo non può avvenire delegando alle élite il governo della crisi climatica ma, al contrario, delegittimando, sabotando e distruggendo questa élite e i suoi profitti.

L’alternativa radicale, veramente collettiva e dal basso al sistema Cop sta nei corpi di chi si ribella. Non c’è più aria per le chiacchiere!