Venerdì 19 maggio 2023
dalle 18:30 in poi
L.E.A. Berta Cáceres e CSOA Forte Prenestino presentano
ASSETAT3! Dance me to the end of capitalism
Il grido muto della terra assetata attraversa i letti vuoti dei fiumi stanchi, mentre le montagne vengono spremute del loro ultimo goccio d’acqua per mettere in moto grandi opere inutili che riempiono le tasche di fin-troppo-normali figuri alienati dalla vita.
Improvvisamente, raggi così brucianti da diventare neri sciolgono le cime innevate per riversare mari di neve liquida e bufere arrabbiate sopra distese di cemento che hanno sete ma non riescono a bere. Mentre grida umane apparentemente più comprensibili vengono soffocate dal vociare beffardo degli unici personaggi che non dovrebbero avere spazio nei nostri ecosistemi.
Dalle 18:30 vi aspettiamo per un tavolo che vuole far dialogare esperienze dislocate politicamente e territorialmente per mettere al centro l’ascolto di quello che la siccità ci vuole dire e immaginare insieme come contrastare ciò che la siccità la causa.
Un tavolo sull’acqua, la siccità e le grandi opere.
Intervegono:
– Lea Berta Cáceres
– Sollevamenti della terra italiani contro le autostrade e gli ecomostri negli Appennini
– Balia dal Collare (Rieti)
– Forum dell’Acqua
– comitati territoriali in lotta per la questione idrica
– Ecologia politica Torino: presentazione dell’estate di lotta di qua e di là delle Alpi
– NOTAV
– Presentazione del 17 Giugno in Valle Maurienne: mobilitazione italo-francese contro il TAV
A seguire daremo sfogo all’energia raccolta nella prima sudata estiva nella pista da ballo!
Ieri sabato 6 maggio eravamo ad Ancona, dove alla chiamata di Non una di meno hanno risposto migliaia di persone da svariate città e realtà territoriali. Insieme abbiamo attraversato le strade per opporci alla normalizzazione di un sistema sanitario che non permette più quasi totalmente di abortire. Come rimarcato più volte dagli interventi, infatti, in gioco ci sono l’autodeterminazione dei corpi ma anche l’ennesimo rischio che questo sistema di privatizzazioni e repressione fa pagare alla nostra salute.
Perché nelle Marche? La regione a guida Fratelli d’Italia ha visto un’impennata dell’obiezione di coscienza dal 63% del 2019 all’80% nel 2022, con alcuni ospedali come quello di Jesi e Fermo dove l’obiezione di coscienza nel personale sanitario è del 100%. Questo va di pari passo con il florido proliferare dei gruppi anti-scelta come quello di Famiglia Nuova, che vedono finanziamenti regionali che toccano il milione di euro, come sostiene Non una di meno transterritoriale Marche.
Anche la pillola abortiva RU486 che permette l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) farmacologica sta vedendo forti restrizioni nell’accesso (entro le 7 settimane dal concepimento, mentre dovrebbe essere entro le 9 secondo le direttive ministeriali) e nella distribuzione (solo 4 punti ospedalieri su 11 che effettuano l’IVG garantiscono la pillola abortiva). Da qui la costrizione a dirigersi in altre regioni, come Emilia-Romagna e Lazio, rendendo ancora più palese la dimensione di classe in quell’odissea che è l’IVG oggi, mentre su tutto il territorio c’è un repentino restringimento dell’accesso al diritto all’aborto. In Molise solo una medica pratica IVG, in Abruzzo l’obiezione di coscienza sta al 90%, in Puglia 8 ospedali sono al 100% di obiezione e 16 ospedali all’80% (su 35 ospedali). Gli aborti clandestini erano tra i 10 e i 13 mila nel 2016, dato che ovviamente non tiene conto degli aborti non rilevati e dell’aumentata restrizione dell’accesso all’IVG dal 2016 ad oggi.
Uno degli aspetti più problematici è la difficoltà a tenere traccia della situazione a causa del fatto che le regioni non forniscono dati specifici sulle strutture, nonostante siano tenute a farlo. Per questo motivo sono vitali progetti dal basso che facciano mappatura delle obiezioni.
Secondo l’indagine “Mai dati” condotta da Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina, e di Sonia Montegiove, informatica e giornalista, sono 31 (24 ospedali e 7 consultori) le strutture sanitarie in Italia con il 100% di obiettori di coscienza per medici ginecologi, anestesisti, infermieri o OSS. Quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%.
L’attacco coordinato delle destre all’autodeterminazione dei corpi passa dai finanziamenti, in aumento verso le cooperative sociali anti-scelta, che hanno sempre più accesso agli ospedali e consultori, alla narrazione che viene fatta dalla politica istituzionale che, oltre a diffondere informazioni consapevolmente false, fa predicamenti religiosi che santificano il corpo del feto e mostrificano invece la donna* che vuole interrompere la gravidanza.
In un contesto di crisi ecologica come quello in cui ci troviamo, la gestione libera e consapevole della gestazione e della natalità è uno strumento fondamentale (ormai costretto dalle destre ad essere anche sovversivo) per ripensare un abitare ecologico del pianeta. Combattere il mito della crescita, tanto in economia quanto nella retorica anti-scelta fascista della natalità è quanto mai necessario mentre gli stati nazione utilizzano la guerra come strumento di riassestamento neoliberale.
Reclamare il diritto di accesso alla salute in un sistema sanitario a pezzi è fondamentale, ma anche riappropriarci della gestione dei nostri corpi è un orizzonte che dobbiamo tenere in considerazione in un presente e futuro precarietà e repressione. Si dice che conosciamo più loghi di marchi che specie di piante, ma questo vale anche per i nostri corpi: conosciamo più vestiti firmati che la realtà dei nostri corpi, ormai malati e lontani da noi. Per questo motivo l’IVG e l’autodeterminazione non riguardano solo l’accesso alla salute, ma richiedono un profondo ripensamento del contesto ecologico in cui ci troviamo e pratiche di riappropriazione dei nostri corpi ed ecosistemi, che non sono mai separabili.
Dobbiamo pretendere l’accesso all’IVG e alla salute, ma anche imparare ad abortire, a prenderci cura dei nostri corpi e ad ascoltarli. Dobbiamo imparare a de-normalizzare la delega della nostra salute a cui ci costringono, che ha reso la salute quel circolo vizioso per cui ci costringono ad ammalarci per poi negarci il diritto alle cure delle malattie che loro stessi hanno causato.
Ricondividiamo da SoReMa – sovversiva rete manifesta l’appuntamento per una passeggiata transfemminista il 29 aprile dalle ore 10:00 a Spinaceto!
PASSEGGIATA TRANSFEMMINISTA SEPARATA A SPINACETO!!!
Partenza ore 10:00 dalla Piazzetta Rossa.
Sorema è una Sovversiva Rete Manifesta transfemminista nata dalla nostra necessità ed esigenza di attraversare il vuoto che circonda i nostri quartieri di periferia. Chi viene dal margine sa benissimo cosa significhi essere relegatə in quartieri dormitorio, nei quali non viene mai progettato né tantomeno pensato un modo di “stare”differente, che non sia limitato al riposo dopo la fatica del lavoro o della scuola. In quanto donne e soggettività dissidenti ci riprendiamo i nostri spazi senza chiedere il permesso, portiamo avanti la nostra lotta ogni giorno, cercando di rendere più vivibili i luoghi che abitiamo. Ma questo non ci basta!
Vogliamo sentirci liber3 di attraversare le strade dei nostri quartieri a qualsiasi ora del giorno e della notte, anche se da sol3 o in posti isolati, o con vestiti considerati indecorosi. Siamo stanch3 di subire costantemente commenti, catcalling, sguardi indesiderati, microaggressioni e minacce da chi crede che lo spazio gli appartenga; ci rende furios3 assistere alla violenza agita sui nostri corpi di donne, lesbiche, froce, persone trans e non binarie.
Non vogliamo limitare le nostre pratiche di lotta alle situazioni emergenziali, non vogliamo inseguire fatti di cronaca e trovarci sempre a reagire più che ad agire, vogliamo che, attraverso la sorellanza, qualsiasi soggettività possa affermarsi e autodeterminarsi.
La nostra rabbia invade le strade di Spinaceto perché a partire dal margine della città, che molt3 di noi abitano e attraversano, vogliamo costruire i nostri spazi di lotta, risignificare i luoghi che leghiamo a episodi di violenza o discriminazione, aprire nuovi spazi di possibilità e dare priorità alle relazioni e ai legami che costruiamo ogni giorno.
Pretendiamo di attraversare strade libere, in cui costruire e condividere spazi accoglienti per le soggettività queer e dissidenti, in cui combattere la violenza machista, patriarcale e razzista che colpisce donne, lesbiche, persone trans e non binarie, sex worker, persone razzializzate, tutti quei corpi e quelle vite che si rifiutano di aderire alla norma che ci viene imposta. Rifiutiamo le retoriche securitarie e repressive, perché sappiamo che fanno parte del problema: polizia, tribunali e carceri sono alcuni tra gli strumenti che vengono usati per zittirci, reprimerci, in alcuni casi ucciderci e sappiamo bene che “gli strumenti del padrone non smantelleranno mai la casa del padrone”!
Questo è solo l’inizio, non siamo di passaggio: abbiamo intenzione di costruire qualcosa di permanente, di lasciare tracce che tutte le soggettività sulle quali ricade la violenza patriarcale possano seguire, per uscire dall’isolamento a cui veniamo costrett3, intessendo relazioni affettive e politiche che diano valore alle nostre lotte e alle nostre esperienze.
Abbiamo scelto, come pratica di autodeterminazione, che questa passeggiata transfemminista sia separata (no maschi cis). Questo rappresenta per noi un passaggio fondamentale per riapropriarci degli spazi che ci sono quotidianamente sottratti, che ci permette di costruire pratiche di impoteramento collettivo senza perdere di vista la nostra complessità.
Non è una maggiore illuminazione delle strade, né la presenza costante delle guardie, a renderci liber3 in strada: abbiamo la potenza della sorellanza dalla nostra parte, ci difendono le nostr3 compagn3, ci autodeterminiamo insieme.
CORTEO e Festa di liberazione di Roma EST 25 aprile Roma Est: LA VERITÀ È DI CHI RESISTE
Il 25 aprile 2023 Roma Est festeggerà – per il sesto anno consecutivo- la liberazione dal nazifascismo nei quartieri che hanno fatto la storia della Resistenza: Pigneto, Centocelle, Villa Gordiani, Quarticciolo.
La giornata inizierà alle 10.00 con la deposizione di un fiore al partigiano a Piazza delle Camelie, Centocelle. Il corteo partirà alle 10.30 e attraverserà le strade di Centocelle per concludersi al Quarticciolo, dove la giornata continuerà al parchetto intitolato al partigiano Modesto di Veglia con un pranzo, dibattiti e concerti. Il programma pomeridiano conterà sulla presenza di (Z)ZeroCalcare, Il Muro del Canto, Giancane, Gli Ultimi, Pegs, Whtrsh aka Banana, Leo Fulcro. Hosted by Lucci. Alla fine della giornata verrà proiettato il film “Margini” di Niccolò Falsetti e Francesco Turbanti.
“La verità è di chi resiste” è lo slogan scelto per questo 25 aprile che, per la prima volta dalla sua istituzione come giornata della liberazione dal nazifascismo, vede al governo una compagine governativa che ha nel fascismo storico la sua origine e che si conferma tale nei programmi e nelle pratiche politiche.
L’intolleranza nei confronti delle diversità, delle lotte di liberazione, delle migrazioni, la difesa di principi autoritari, sicuritari, discriminatori e il revisionismo storico nei confronti di fatti incontrovertibilmente connotati da una matrice ideologica antifascista, rendono necessaria una ancora più forte e chiara presa di posizione di tutti gli attori sociali, culturali, politici che contribuiscono alla costruzione della memoria storica di questo paese.
La giornata di celebrazione della liberazione dal nazifascismo e della resistenza partigiana è promossa da realtà sociali di Roma Est che quotidianamente nei propri territori praticano la resistenza al capitalismo predatorio, attraverso forme di solidarietà e di mutuo appoggio che hanno permesso di costruire una risposta autonoma ai bisogni dei territori che vanno dall’abitare, alla salute, allo sport, all’educazione, al cibo.
La Resistenza come valore da continuare a difendere e praticare per la costruzione di un mondo più giusto, in continuità e coerenza con gli ideali che 80 anni fa hanno spinto i partigiani e le partigiane a combattere sfidando la paura della guerra, delle rappresaglie, dello squadrismo e del pensiero unico.
La Storia della Resistenza come Verità da difendere nella memoria e da praticare nella vita quotidiana delle comunità che resistono nei quartieri.
In vista della chiamata nazionale del 6 maggio ad Ancona per il diritto all’aborto, ricondividiamo il comunicato stampa di Non una di meno e invitiamo tuttə a partecipare alla chiamata con i bus in partenza da tutta Italia. Da Roma partiremo tuttə insieme il 6 maggio da Piazzale del Verano alle h.7:30, per prenotare un posto compila questo form.
La rete transfemminista NON UNA DI MENO torna in piazza dopo la giornata di lotta dell’8 marzo, convocando una manifestazione nazionale ad Ancona per l’aborto libero, sicuro, gratuito, per tutt3, con concentramento in Largo Fiera della Pesca il 6 maggio alle ore 14:30
La presidente del consiglio Giorgia Meloni, a seguito del suo insediamento, ha rassicurato furbamente l’opinione pubblica di non avere intenzione di modificare la legge che garantisce l’accesso all’aborto. Il suo partito, infatti, sa benissimo che per mettere in discussione il diritto ad abortire non serve modificare la legge 194/78, basta muoversi tra i suoi rivoli e le sue lacune, come si è fatto da anni a livello regionale.
Sono proprio le regioni laboratorio dell’attuale compagine governativa come Marche, Umbria, Abruzzo, Piemonte, Veneto ad aver messo in campo politiche di drastica riduzione dell’accesso all’IVG, tolleranza dell’obiezione di coscienza di struttura, ingresso e finanziamento delle associazioni anti-abortiste nei consultori pubblici e smantellamento dei consultori stessi.
È tempo di mobilitarci insieme con un grande corteo nazionale, perchè il diritto all’aborto non sia garantito solo su carta! Non Una di Meno sarà ad Ancona, dove l’aborto non è più garantito, perché la situazione in questo territorio è un simbolo. Nonostante anni di denunce, quando si prova a prenotare un’interruzione volontaria di gravidanza nelle Marche, viene consigliato di spostarsi direttamente in un’altra regione. Non si tratta di un caso isolato: in Molise c’è una sola medica non obiettrice di coscienza in tutta la Regione, in Abruzzo la percentuale di obiezione supera il 90%, in Campania si pratica IVG in meno di ¼ dei reparti di ginecologia, in Calabria si può abortire in meno del 50% degli ospedali.
È il nostro movimento, quindi, a volere che la legge cambi, ma a partire dai nostri bisogni e da alcune rivendicazioni chiave: l’abolizione dei 7 giorni di riflessione dopo aver ottenuto il certificato IVG, l’abolizione dell’articolo 9 che disciplina l’obiezione di coscienza, la somministrazione della RU486 in tutti gli ospedali e consultori, l’estensione del numero di settimane per accedere all’IVG, la sperimentazione dell’aborto telemedico in piena sicurezza, la formazione di tutto il personale perché sia garantita accoglienza adeguata a tutte le persone che decidono di abortire a prescindere dal loro genere.
Lo slogan della manifestazione è “Interruzione volontaria di patriarcato”, cioè la fine di un sistema che opprime le donne e le persone LGBTQIA+. La visione del Governo supporta un’idea di patria fondata sul mito della famiglia borghese, patriarcale, bianca, con rigidi ruoli di genere, che non rappresenta in nulla le vite di tantissime persone in questo Paese, e si inserisce in una visione politica che attacca l’autodeterminazione di tutte le soggettività marginalizzate. Mentre la maggioranza, in linea con i suoi alleati internazionali, da una parte promuove politiche restrittive sull’aborto e presenta in Parlamento proposte di legge per il riconoscimento della personalità giuridica dell’embrione come quelle Gasparri e Menia, dall’altra attacca la genitorialità LGBTQIA+ e razzializzata, promuove la guerra alle persone più povere, è mandante politico delle stragi in mare, consente il condono fiscale ai più ricchi, è complice del disastro ambientale, e ostacola il salario minimo.
Non Una di Meno intende costruire questa giornata in rete con quella opposizione sociale che mette al centro la connessione tra diritti sociali e diritti civili, smascherando, a partire dal vissuto di tutte le persone che saranno in piazza ad Ancona, chi li narra ancora come divisi.
NON UNA DI MENO
Contatti per la stampa: stampa.nonunadimeno@gmail.com
Mercoledì 12 aprile saremo al comitato di quartiere di Villa Certosa, dove presenteremo insieme con Marco Armiero e Roberta Biasillo, due dellə autorə, il libro “La natura del duce. Una storia ambientale del fascismo”. In preparazione alle mobilitazioni cittadine del 25 aprile, indagheremo insieme quali rapporti il ventennio ha instaurato con l’ambiente e che narrazioni ha costruito della “natura” e in che modo questi rapporti e narrazioni siano state funzionali al progetto politico del fascismo. Ci vediamo quindi a largo dei Savorgnan mercoledì 12 aprile alle ore 17:00 e condividiamo qui l’estratto della premessa del libro.
“Gli autori di questo libro non considerano l’ambientalismo una categoria metastorica, sempre uguale nel tempo, come se esistesse da qualche parte il decalogo immutabile del bravo ecologista, in base al quale misurare quanto verde sia stato un dato regime o personaggio storico. Non essendo interessati a dare o ritirare patenti di ecologismo, hanno preferito lavorare sulle ecologie politiche del fascismo, ovvero sulle pratiche e le narrative attraverso cui il regime ha costruito delle nature, tanto immaginarie quanto materiali, funzionali al
suo progetto politico. Ecologico non implica un approccio ecologista e non coincide con una “buona” gestione dell’ambiente. Agli autori non interessa capire quanti ettari di territorio fossero riservati a parco o quanti alberi siano stati piantati durante il ventennio. Piuttosto, il libro vuole indagare come il regime abbia prodotto delle
formazioni socioecologiche, ovvero degli ecosistemi fatti di narrative e piante, di memorie e orsi, di leoni addomesticati e popolazioni selvagge da assoggettare. Gli
autori non credono che il fascismo si disinteressasse della natura; ma l’alternativa al disinteresse non è, come qualcuno sembra intendere, una cura attenta della natura.
Questo libro non riduce la storia ambientale del fascismo alla sola storia della tutela della natura durante il regime. È piuttosto una storia dell’ecologia politica fascista che ci ricorda, una volta di piú, che l’ambiente e la società, la natura e la politica sono sempre intrecciate. Anche quando non ce ne accorgiamo.
La natura del duce esplora le ecologie politiche fasciste, ovvero le pratiche e le narrative attraverso cui il regime ha costruito ecologie, tanto immaginarie quanto materiali, funzionali al suo progetto politico. Il libro non insegue dunque il fantasma di un Mussolini verde, magari contando quanti parchi nazionali siano stati creati
durante il regime o quanti alberi piantumati. Diversamente da quanto affermato dalla storiografia internazionale, gli autori non credono che il fascismo si sia disinteressato della natura; piuttosto ne ha fatto un uso attento, tuttavia lontano da idee di cura e conservazione dell’ambiente. Il libro muove da un’analisi della figura di Mussolini e del suo rapporto con la natura per spaziare su alcuni aspetti cruciali della trasformazione fascista dell’ambiente.
Dalla bonifica alla battaglia del grano, dall’autarchia alle politiche di tutela, dalle ecologie coloniali fasciste all’eredità del regime nel paesaggio contemporaneo, La natura del duce guida chi legge in un viaggio nel tempo e nello spazio, rivelando come sia possibile interrogare passaggi e paesaggi della nostra storia attraverso nuove domande e chiavi di lettura. Tra leonesse addomesticate e bonifiche integrali, paesaggi coloniali e autarchia, parchi e monumenti, finalmente un libro che racconta come il fascismo ha immaginato, usato e trasformato la natura.”
Mercoledì 29 marzo le forze dell’ordine hanno dato di nuovo fiato a quel vortice ossessivo di repressione e castigo che sta attanagliando Roma in modo sempre più soffocante.
Con una nuova performance tanto muscolare quanto ridicola hanno provato a interrompere un’occupazione che ha liberato un luogo abbandonato e ostile come quello dell’ex stazione prenestina, rendendolo non solo attraversabile e accogliente, ma anche esperimento e pratica concreta di alternative di vita, metodi di organizzazione dal basso ecologista e transfemminista, casa per soggettività in lotta e cuore pulsante di progetti e sogni per un presente e un futuro diverso.
Tutto questo ovviamente non si spegne con uno sgombero: abbiamo rifiutato l’invisibilità scegliendo la lotta, ogni nostra azione lo grida chiaramente. Per questo motivo la nostra voglia di liberare spazio si è insediata nella rotatoria davanti alla stazione, dando vita per tre giorni e tre notti ad un accampamento nomade e ribelle che ha ripreso in mano la situazione e ha portato avanti le iniziative programmate, nonostante le pressioni e la presenza costante di camionette e digos.
Come prevedibile, la loro sete di ordine e repressione ma, soprattutto, la loro paura del fiorire di comunità in lotta, ha dato forma a una nuova geniale intuizione: lo sgombero dello sgombero!
Non possiamo che ridere di fronte a questo zelo tanto burocratico quanto violento, che nasconde, lo ben sappiamo, una inettitudine alla vita che è nemica di ogni cosa bella.
Questa sera ci prendiamo cura di noi e ci riposiamo, per cui rimandiamo la nostra serata con djset ai prossimi giorni, ma ben sappiamo, come abbiamo provato in questo anno di lotte e sgomberi, che non sarà questo a fermare nuovi semi e nuovi conflitti.
Tanto è più acuta l’inettitudine, la malafede, la sete di brutture che il mondo a noi avverso manifesta, quanto più è forte la nostra voglia di respirare nuova aria, nuovi progetti, nuova vita.
Contro ogni frontiera, contro ogni galera, contro la violenza machista e patriarcale che ci opprime tutti i giorni, noi continuiamo a lottare, a costruire il possibile.
Nella regione francese di Poitou oggi si concludono i tre giorni di mobilitazione dedicati alla difesa dell’acqua come bene comune e alla lotta contro l’edificazione di mega-bacini, che dovrebbero servire e amplificare l’agricoltura intensiva e ad alto capitale della zona drenando le falde acquifere.
Contro questo progetto di accaparramento indiscriminato di risorse pubbliche, in quella regione si sta costruendo un progetto socio-ecologico diverso, che si fonda sulla condivisione di saperi, sulla produzione piccola e diffusa, sulla partecipazione dei territori e dellə lavoratorə locali. E anche sulla solidarietà e la resiste collettiva e determinata alla violenza predatoria di questo progetto (purtroppo da questo punto di vista paragonabile a molti altri).
In questi giorni infatti ci sono stati incontri di approfondimento, assemblee e dibattiti, una grande festa ospitata dal solidale comune di Melle. Oltre a questo, la grande manifestazione di sabato (si stimano 30.000 persone) ha permesso di avvicinarsi ai bacini per contestare il progetto.
Non solo lo Stato non ha permesso alcun processo di mediazione decisionale rispetto al progetto, ma sabato ha violentemente represso tramite l’intervento delle forze dell’ordine la manifestazione, che avanzava solidale e compatta verso un bacino. Sono state ferite più di 200 persone, una delle quali è tutt’ora in pericolo di vita. Le violenze sono state talmente gravi da indurre la Lega dei diritti dell’uomo a scrivere un duro comunicato di denuncia.
Questa violenza va letta nel quadro dell’enorme repressione che sta colpendo il movimento francese, compatto contro la riforma delle pensioni voluta da Macron, che in questo paese è ormai l’unico strumento di gestione delle istanze sociali sempre più radicali. Di fronte e contro essa, ha un valore enorme la generosità, la determinazione e l’entusiasmo mostrato da tutto il corteo, che per ore ha resistito ed ha così dimostrato che non sarà facile procedere secondo i piani prestabiliti.
Fermare il progetto delle mega-bassines è possibile, e apre ad un modello di futuro diverso.
NO BASSARAN!
Di seguito pubblichiamo la traduzione del comunicato di conclusione dei tre giorni di mobilitazione.
COMUNICATO FINALE DELLA GIORNATA DELLA MANIFESTIONE (25 MARZO)
30.000 persone manifestano a Sainte-Soline nonostante la brutalità della polizia per un passo decisivo verso la fine dei mega-bacini!
Intorno ai simboli della fauna minacciata dai progetti dei bacini (l’otarda, la lontra e l’anguilla), lə manifestanti sono avanzatə nei campi in un’atmosfera determinata, con molta creatività, audacia e unità, lontano dal cliché venduto da Gerald Darmanin di 1000 individui isolati che cercano la violenza. La Confédération paysanne, da parte sua, ha piantato 300 metri di siepi, essenziali per un modello agricolo a basso consumo di acqua e rispettoso della biodiversità. Le 30.000 persone sono arrivate insieme ai piedi del cantiere di Sainte-Soline, che hanno circondato con le forze dell’ordine che si sono disposte lungo il suo perimetro. Migliaia di persone sono avanzate tenendosi per mano, altre si sono avvicinate in gruppo per abbattere i cancelli.
Mentre il corteo giallo è riuscito a entrare brevemente nel sito, la violenza della polizia è stata sconcertante nella sua brutalità: non meno di 200 persone sono state ferite e altre stanno ancora arrivando. Tra queste, una quarantina di persone hanno ferite profonde e schegge, soprattutto alle gambe e al volto, a causa delle granate disinnescate e dei colpi di LBD. Una dozzina di feriti gravi sono stati trasferiti all’ospedale universitario. Un manifestante è in coma con una prognosi in pericolo di vita, altri due hanno una prognosi funzionale. Questa violenza è assolutamente criminale in quanto sappiamo che si trattava solo di proteggere un cratere vuoto e di mantenere la faccia. Essa rispecchia ampiamente la brutale repressione subita dal movimento sociale contro la riforma delle pensioni.
Peggio ancora, la polizia ha ritardato il trattamento dei feriti bloccando il Servizio di Aiuto Medicale Urgente di Sainte-Soline, nonostante fosse stato chiamato dai manifestanti alle 13.00. Una persona in pericolo di vita ha dovuto aspettare più di un’ora prima che la prefettura autorizzasse il passaggio del SAMU dopo le chiamate della Confédération paysanne e di Marine Tondelier – un blocco confermato dagli osservatori della Ligue des Droits de L’Homme.
Gli organizzatori denunciano la grave violenza contro le persone, perpetrata ancora una volta dalla polizia e che ci ricorda la tragedia di Sivens. Siamo preoccupati per queste persone ferite, la priorità è e deve essere quella di prendersi cura di loro. Va anche detto che, in vista della mobilitazione, la prefettura, il governo e persino Emmanuel Macron hanno moltiplicato gli elementi di linguaggio volti a criminalizzare il movimento anti-bacino e a giustificare così le violenze di cui i manifestanti sono stati oggetto oggi.
Prima di lasciare il sito, i manifestanti hanno scavato e disarmato una pompa e un tubo centrale del bacino di Sainte-Soline, mettendolo definitivamente fuori uso. Allo stesso tempo, la Confédération paysanne ha anche allestito una serra per aiutare un agricoltore ad avviare un’attività in un terreno vicino al bacino. Queste azioni dimostrano che, al di là dell’opposizione ai mega-bacini, è proprio un altro modello agricolo più resiliente, che condivide le risorse idriche e che è a misura d’uomo a essere difeso in questa lotta.
I manifestanti tornano questa sera e domenica a Melle, un comune militante dove sono previsti dei festeggiamenti. La lotta per la condivisione dell’acqua continua, con tavole rotonde sulle devastazioni dell’agrobusiness, sulle lotte internazionali e sull’agricoltura contadina, ma anche riflessioni sulla continuazione e sulle alleanze del vasto movimento popolare contro l’accaparramento dell’acqua. Nei prossimi due giorni sono previsti spettacoli pubblici e concerti.
Continueremo a lottare, nonostante le intimidazioni e l’estrema brutalità del governo.
Questa data segna un nuovo e decisivo passo avanti che dovrebbe annunciare l’arresto dei lavori e l’apertura di un dialogo sulla conservazione e la condivisione dell’acqua, nonché la fine anticipata dei progetti dei mega-bacini.
Siamo rafforzati da questo sostegno massiccio e 4 volte più numeroso rispetto all’ultima mobilitazione, che è stata molto importante a Sainte-Soline. No bassaran!
Martedì 14 marzo alle 18:00 faremo il punto su EastMed-Poseidon, il progetto di un gasdotto che vorrebbe partire da Israele e attraversare il Mediterraneo, passando sotto Cipro e la Grecia, per poi raggiungere la Puglia. Questo progetto è emblematico nella relazione tra fossile e militarizzazione, in quanto si situa in zone dal delicato equilibrio geopolitico, alimentando guerre e apartheid.
Ne parleremo con Gastivists, collettivo che si occupa di informazione e sensibilizzazione sui pericoli delle fonti fossili e che presenterà “Peace is fossil free”,il fumetto che ha prodotto dove attivistə da Palestina, Israele, Cipro, Grecia e Italia collegano guerra, repressione e gas fossile, attraverso la loro esperienza.
Avremo con noi anche ReCommon, che per l’occasione presenterà invece il suo nuovo video su EastMed, il quale con immagini e interviste ci restituirà le tensioni e problematiche che questo progetto sta alimentando nel Mediterraneo dell’est.
Ci vediamo alla stazione prenestina liberata martedì 14 marzo alle 18:00!
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L’hub del gas del Mediterraneo orientale si chiama Israele, con tutto quello che ne consegue a livello di tenuta degli equilibri geopolitici di una delle aree più instabili del Pianeta. Una delle infrastrutture più strategiche è il cosiddetto “Gasdotto della Pace”, un serpentone che dal terminal egiziano di Al Arish dopo un percorso sottomarino di 90 chilometri e bypassando la Striscia di Gaza termina la sua corsa ad Ashkelon. È attivo dal 2008 e permette in un primo momento a Tel Aviv di importare gas dall’Egitto. Nel 2013 la scoperta degli enormi giacimenti di Leviathan e Tamar al largo di Israele e di Aphrodite nelle acque cipriote apre anche per questi paesi la possibilità di divenire esportatori di gas, sia nella regione che verso il mercato europeo e globale. Né Cipro, né Israele hanno però le infrastrutture dell’Egitto. Si valuta così la costruzione del mega gasdotto Eastmed, che passerebbe anche da Cipro per poi arrivare in Italia, in Puglia, e la realizzazione di pipeline sottomarine per collegare i giacimenti offshore con la Turchia o con l’Egitto. Ma la firma di un accordo per la vendita del gas israeliano a una società egiziana apre a uno scenario nuovo: il preesistente gasdotto Arish-Ashkelon viene adattato per permettere a Israele di iniziare a esportare gas verso l’Egitto. Il “gasdotto della Pace” diviene così un’opera di fondamentale importanza per tutta la regione.
Intanto si valuta il da farsi con l’ambizioso progetto Eastmed, che trova il gradimento di paesi di passaggio e approdo quali Grecia e Italia ma non della Turchia, che si vedrebbe esclusa dalla partita. Gli Stati Uniti hanno espresso parere negativo su Eastmed, mentre Tel Aviv punterebbe sul trasporto tramite liquefazione del gas, anche se non è ufficialmente uscita dal progetto. In attesa di novità, Israele si afferma quale nuovo hub del gas con i suoi flussi di import e export, un po’ come vorrebbe fare dell’Italia il governo Meloni. Nel frattempo da più parti lo sfruttamento della riserva fossile viene visto come un elemento di ulteriore rafforzamento della repressione nei confronti del popolo palestinese. Uno status quo che Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani definiscono come un vero e proprio regime di apartheid. Nel frattempo, denunciano gli attivisti locali, Israele si sta guardando bene dal dare il suo contributo per risolvere la crisi climatica. Dall’inizio della guerra le mega centrali di Ashkelon hanno ripreso a utilizzare olio combustibile e carbone. L’inquinamento nel Paese è a livelli delle peggiori zone di sacrificio, ossia delle aree della Cisgiordania che Israele sfrutta per lo smaltimento di rifiuti pericolosi, anche se nelle zone residenziali e nelle città fanno bella mostra di sé pannelli solari che raccontano di una sostenibilità e di un’attenzione per l’ambiente solo di facciata.
Sabato abbiamo deciso di portare la nostra rabbia nelle strade, dentro e contro una realtà governata a colpi di sgomberi e violenta repressione.
Siamo tornate a respirare con una favolosa e partecipata passeggiata ecotransfemminista nel quartiere di Roma est, per liberare l’ennesimo spazio abbandonato in una città consegnata alla speculazione.
Ora è il tempo di raccontarsi, conoscersi immaginare assieme pratiche per dare forma allo spazio, mettendosi in ascolto dei bisogni e dei desideri del quartiere, delle realtà sociali e delle soggettività che lo attraversano.
Vi aspettiamo alla stazione Prenestina liberata Domenica 12 marzo con un pranzo di cucina popolare veg a cura del centro socioculturale curdo Ararat e un mercato contadino di produttorə direttə.
Alle 17:00 si terrà l’assemblea pubblica, dove ci chiederemo insieme che cos’è e come si fa a far vivere una laboratoria ecologista autogestita e con quali pratiche possiamo prenderci cura e costruire questo nuovo spazio.