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INTERRUZIONE VOLONTARIA DI PATRIARCATO – ANCONA

Ieri sabato 6 maggio eravamo ad Ancona, dove alla chiamata di Non una di meno hanno risposto migliaia di persone da svariate città e realtà territoriali. Insieme abbiamo attraversato le strade per opporci alla normalizzazione di un sistema sanitario che non permette più quasi totalmente di abortire. Come rimarcato più volte dagli interventi, infatti, in gioco ci sono l’autodeterminazione dei corpi ma anche l’ennesimo rischio che questo sistema di privatizzazioni e repressione fa pagare alla nostra salute.

Perché nelle Marche? La regione a guida Fratelli d’Italia ha visto un’impennata dell’obiezione di coscienza dal 63% del 2019 all’80% nel 2022, con alcuni ospedali come quello di Jesi e Fermo dove l’obiezione di coscienza nel personale sanitario è del 100%. Questo va di pari passo con il florido proliferare dei gruppi anti-scelta come quello di Famiglia Nuova, che vedono finanziamenti regionali che toccano il milione di euro, come sostiene Non una di meno transterritoriale Marche.

Anche la pillola abortiva RU486 che permette l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) farmacologica sta vedendo forti restrizioni nell’accesso (entro le 7 settimane dal concepimento, mentre dovrebbe essere entro le 9 secondo le direttive ministeriali) e nella distribuzione (solo 4 punti ospedalieri su 11 che effettuano l’IVG garantiscono la pillola abortiva). Da qui la costrizione a dirigersi in altre regioni, come Emilia-Romagna e Lazio, rendendo ancora più palese la dimensione di classe in quell’odissea che è l’IVG oggi, mentre su tutto il territorio c’è un repentino restringimento dell’accesso al diritto all’aborto. In Molise solo una medica pratica IVG, in Abruzzo l’obiezione di coscienza sta al 90%, in Puglia 8 ospedali sono al 100% di obiezione e 16 ospedali all’80% (su 35 ospedali). Gli aborti clandestini erano tra i 10 e i 13 mila nel 2016, dato che ovviamente non tiene conto degli aborti non rilevati e dell’aumentata restrizione dell’accesso all’IVG dal 2016 ad oggi.

foto di Michele Lapini

Uno degli aspetti più problematici è la difficoltà a tenere traccia della situazione a causa del fatto che le regioni non forniscono dati specifici sulle strutture, nonostante siano tenute a farlo. Per questo motivo sono vitali progetti dal basso che facciano mappatura delle obiezioni.

Secondo l’indagine “Mai dati” condotta da Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina, e di Sonia Montegiove, informatica e giornalista, sono 31 (24 ospedali e 7 consultori) le strutture sanitarie in Italia con il 100% di obiettori di coscienza per medici ginecologi, anestesisti, infermieri o OSS. Quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%.

L’attacco coordinato delle destre all’autodeterminazione dei corpi passa dai finanziamenti, in aumento verso le cooperative sociali anti-scelta, che hanno sempre più accesso agli ospedali e consultori, alla narrazione che viene fatta dalla politica istituzionale che, oltre a diffondere informazioni consapevolmente false, fa predicamenti religiosi che santificano il corpo del feto e mostrificano invece la donna* che vuole interrompere la gravidanza.

In un contesto di crisi ecologica come quello in cui ci troviamo, la gestione libera e consapevole della gestazione e della natalità è uno strumento fondamentale (ormai costretto dalle destre ad essere anche sovversivo) per ripensare un abitare ecologico del pianeta. Combattere il mito della crescita, tanto in economia quanto nella retorica anti-scelta fascista della natalità è quanto mai necessario mentre gli stati nazione utilizzano la guerra come strumento di riassestamento neoliberale.

Reclamare il diritto di accesso alla salute in un sistema sanitario a pezzi è fondamentale, ma anche riappropriarci della gestione dei nostri corpi è un orizzonte che dobbiamo tenere in considerazione in un presente e futuro precarietà e repressione. Si dice che conosciamo più loghi di marchi che specie di piante, ma questo vale anche per i nostri corpi: conosciamo più vestiti firmati che la realtà dei nostri corpi, ormai malati e lontani da noi. Per questo motivo l’IVG e l’autodeterminazione non riguardano solo l’accesso alla salute, ma richiedono un profondo ripensamento del contesto ecologico in cui ci troviamo e pratiche di riappropriazione dei nostri corpi ed ecosistemi, che non sono mai separabili.

Dobbiamo pretendere l’accesso all’IVG e alla salute, ma anche imparare ad abortire, a prenderci cura dei nostri corpi e ad ascoltarli. Dobbiamo imparare a de-normalizzare la delega della nostra salute a cui ci costringono, che ha reso la salute quel circolo vizioso per cui ci costringono ad ammalarci per poi negarci il diritto alle cure delle malattie che loro stessi hanno causato.

Abortiamo e non ci pentiamo!